"La nostra politica estera? Siamo inaffidabili e senza forza di reazione"

Dalla chiusura delle frontiere ai rapporti con l'India. Rusconi, uno dei più noti politologi italiani, ci spiega perché il governo Renzi fatica a farsi ascoltare

Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, riferisce su vicenda Regeni in aula alla Camera dei Deputati
Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, riferisce su vicenda Regeni in aula alla Camera dei Deputati

Gian Enrico Rusconi, professore emerito presso l'univertà di Torino, è uno storico e un politologo ed è molto attento alla politica estera italiana e soprattutto ai rapporti tra Italia e Germania. Nel suo nuovo libro pubblicato dal Mulino ha analizzato il complesso ruolo della Germania nella politica europea (dall'Ottocento sino ai giorni nostri) in termini molto chiari già dal titolo: Egemonia vulnerabile. La Germania e la sindrome di Bismarck. Abbiamo deciso di fare una chiacchierata con lui in un momento in cui la situazione dell'Italia, con il rischio che l'accordo di Schengen venga congelato, è delicata.

Professor Rusconi, Schengen traballa. Com'è la situazione dell'Italia?

«È una situazione non facile. Sicuramente Renzi ha accolto la notizia della possibile sospensione del trattato con sorpresa e forse eccessivo nervosismo. Ora nessuno ha la sfera di cristallo e bisognerà vedere come andrà l'incontro di giovedì tra il premier e Angela Merkel. I rapporti personali tra i due appaiono sempre molto cordiali ma sotto la simpatia della Merkel non vorrei si nascondessero delle sorprese...».

L'Italia è politicamente isolata?

«Paghiamo il dazio di una presunta inaffidabilità. E sicuramente in questa fase siamo in qualche modo messi alla prova per vedere qual è il nostro livello di pazienza. L'Austria ha reintrodotto a esempio i controlli al Brennero ma non l'avrebbe fatto se ci fosse stata una chiara opposizione tedesca. Evidentemente la Germania, anche se la Cancelliera si è tenuta dietro le quinte, ha approvato la scelta».

Secondo lei il governo se l'aspettava uno sviluppo del genere?

«Probabilmente no. La nostra capacità di far valere il nostro punto di vista la vedremo proprio con la visita a Roma di Angela Mekel».

Colpa del premier?

«Renzi tende ad enfatizzare molto il suo ruolo e per cui poi tutto sembra essere, nel bene e nel male, direttamente colpa sua. In realtà c'è una più generale mancanza di sensibilità politica sui temi esteri. In Italia le questioni si schiacciano quasi sempre sulla politica interna con un grandissimo livello di litigiosità. Oggi come oggi si parla spessissimo di ritorno dei nazionalismi ma non credo sia questa la chiave giusta d'interpretazione. Semmai quello che sta tornando a farsi vedere è la necessità politica di stabilire quali sono gli equilibri tra le nazioni. Ed in questo senso l'inaffidabilità italiana, la paura che noi non si sia in grado di mantenere gli impegni, pesa».

Questa però è responsabilità del governo...

«Responsabilità dei nostri governi, non certo solo dell'ultimo. L'errore di Renzi è stato semmai quello di vendere delle facili speranze di miglioramento quando poi la congiuntura economica e l'enorme problema dei migranti che ci vede in prima linea non potevano in alcun modo dar spazio verso queste aspettative. Ma ribadisco è un problema più ampio, che non può essere personalizzato. Siamo un Paese troppo importante perché l'Europa possa fare senza di noi ma ondivago».

È un problema relativo solo al Vecchio continente?

«No, prendiamo il caso di Giulio Regeni. È chiaro che ci sono delle responsabilità precise e che il governo egiziano non ha collaborato appieno per identificarle. Ma la nostra capacità di deterrenza è molto bassa. Non credo che le cose avrebbero preso la stessa piega con un cittadino del Regno unito o della Francia...».

Deboli nei confronti anche dell'India per il caso dei nostri fanti di marina?

«Non vorrei divagare troppo, non mi piace fare il tuttologo, ma in quel caso mi sembra sia preponderante, più che una nostra debolezza, un atteggiamento protervo di Delhi. Ora anche la corte dell'Aja ci dà ragione e questo è un successo. Certo resta la questione della nostra scarsa capacità di deterrenza. Mi passi il termine ma spesso con l'Italia si è più disinvolti è capitato anche nella gestione della crisi libica per intenderci».

Si può dare una svolta ad una situazione del genere per il versante europeo?

«Torniamo al punto da cui siamo partiti. La Germania è un Paese egemone in Europa ma come ho scritto nel mio libro si sente vulnerabile. Come già sosteneva Bismarck, è troppo piccola per l'egemonia, troppo grande per l'equilibrio.

Questo condiziona la politica della Ue. È una situazione che l'Italia deve capire e valutare senza inutili antigermanismi. Ma muovendosi con attenzione e ritagliandosi un ruolo. I buoni rapporti personali non bastano...».

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