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Le nostre armi sono pronte. Ma il governo le tiene a freno

L'Italia è in grado di intervenire militarmente sia in Irak che in Libia. Ma Renzi tentenna

Le nostre armi sono pronte. Ma il governo le tiene a freno

«Le opzioni strategiche ed i relativi piani operativi sono già pronti. La brigata Folgore e gli assetti dei corpi speciali aspettano solo l'ordine per intervenire», spiega una fonte militare del Giornale. Quello che manca è la volontà politica di fare la guerra alle bandiere nere. «Non c'è solo il Califfato in Siria e Iraq - si fa notare negli ambienti militari -. La minaccia più vicina a noi è in Libia, dall'altra parte del Mediterraneo, per ora limitata a Sirte e dintorni».Due giorni fa all'Eliseo, il primo ministro italiano Matteo Renzi ha focalizzato l'attenzione sulla Libia, ma senza prendere alcuna iniziativa concreta come i francesi dopo la carneficina di Parigi. Ieri il presidente François Hollande ha detto chiaro e tondo allo Stato islamico: «Vi distruggeremo». Il nostro premier aveva invocato «una risposta culturale». Forse spera di abbattere il Califfo a colpi di tweet.Nonostante le nostre forze armate, come confermano fonti interne, siano pronte e abbiano già pianificato l'attacco alle bandiere nere in Libia o un maggiore intervento in Iraq e Siria se necessario. Oltre alla Folgore può venir utilizzata la brigata Garibaldi. Su Sirte, in mano allo Stato islamico, sono previste incursioni anfibie per distruggere obiettivi specifici o mettere le mani sui comandanti dello Stato islamico. Gli egiziani lo hanno già fatto a Derna.Gli americani stanno conducendo una blanda campagna di attacchi mirati dal cielo contro i capi dei terroristi. La nostra aviazione è in grado di fare altrettanto colpendo centri di comando e controllo, arsenali, caserme e campi di addestramento. La Marina è già schierata davanti alle coste libiche, ma qualsiasi intervento viene bloccato dal mantra del governo libico di unità nazionale, sempre più una chimera. E un utile paravento per non far nulla. Un'opzione più semplice, immediata e realistica «come abbiamo fatto in Iraq con i curdi» osservano fonti militari «è di scegliere il meno peggio». La città-Stato di Misurata conta su una delle milizie più forti. La brigata 166 si è scontrata alle porte di Sirte contro le bandiere nere, ma ha bisogno di armi, munizioni e corpi speciali per guidare l'appoggio aereo e farla finita con l'avamposto jihadista prima che si espanda. Tutto deve passare attraverso l'Onu, il Parlamento, gli opportuni accordi con i nostri maggiori alleati. Purtroppo «sior tentenna» di Palazzo Chigi non sembra avere alcuna intenzione di compiere passi del genere e spera che la guerra la facciano altri al nostro posto.

«L'Italia in Libia dovrà fare la sua parte, ma non basta intervenire. Bisogna pensare anche al dopo, come abbiamo visto con la caduta di Gheddafi», fa notare l'ex generale Mauro Del Vecchio. «L'intervento deve essere globale, non solo in Siria e Iraq, ma anche in Libia e altri Paesi. Siamo di fronte a un'ebola del terrore che va affrontata contemporaneamente», spiega Franco Angioni, che guidò in Libano la prima missione di pace italiana dopo la seconda guerra mondiale.Le opzioni più immediate per combattere veramente il Califfato riguardano l'Iraq. I nostri 4 Tornado possono in qualsiasi momento smetterla di fotografare gli obiettivi dello Stato islamico e cominciare a bombardarli. Dal punto di vista militare spostare i raid anche in Siria al fianco di americani, russi e francesi è pure possibile. Sul terreno abbiamo aliquote di corpi speciali, che non fanno il loro lavoro e si limitano ad addestrare. Il 9° reggimento Col Moschin ed i paracadustisti del 185° acquisizione obiettivi sono perfettamente in grado di operare in prima linea al fianco dei curdi come già fanno americani, francesi e inglesi. Ai Peshmerga bisognerebbe fornire armi meno vecchiotte del controcarro Folgore, che ha oltre 40 anni.«Tutti dicono che bisogna essere cauti. Si prendono le distanze o si elencano i distinguo. La risposta culturale è una bellissima idea, ma non basta a debellare la minaccia», osserva l'ex generale Alberto Ficuciello, che ha perso il figlio nella strage di Nassiriyah. «Se stiamo parlando di 40mila jihadisti fra Siria e Iraq non è sufficiente l'attacco aereo - spiega -. Bisogna mandarci i mezzi corazzati, tanta intelligence, corpi speciali e in poche settimane li spazzi via.

Ma se manca la volontà politica e ci si trincera dietro ipocrisie formali abbiamo perso ancora prima di combattere».

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