Politica

«Il nostro negozio di souvenir spazzato via di colpo»

Il ricordo dell'esponente di Fi: vasi distrutti e le banconote che galleggiavano sull'acqua alta

Sabrina Cottone

«Capitò come questa volta all'improvviso». Renato Brunetta aveva sedici anni quando l'Aqua granda del 4 novembre 1966 travolse il negozietto di souvenir e vetri di Murano dei suoi genitori. Il ricordo è vivido, come quello delle maree che sono la vita di una delle città più amate del mondo: «I veneziani sono abituati all'acqua alta. Ricordo che da bambini la sognavamo la notte perché non si andava a scuola. Si annusava l'aria per sentire se c'era il vento di scirocco».

Oggi però, come nel 1966, l'eccezionalità del rapporto tra uomo e natura che ha dato vita a Venezia si è trasformata in tragedia.

«Oggi come allora il vento infuria sull'acqua alta, che solitamente sale in verticale e non è violenta ma anzi ripulisce la città in modo naturale. Ricordo quella sera del 1966: vasi distrutti, il telefono e le poche banconote uscite dal registratore di cassa che galleggiavano. Erano saltati tutti gli impianti e la nafta invadeva ogni cosa. Siamo tornati a casa disperati».

Come vi siete risollevati e siete ritornati alla vita?

«Qualche tempo dopo, mentre ci leccavamo le ferite e mia madre ripuliva centinaia e centinaia di foulard di finta seta che vendevamo a 500 lire, c'era la Festa nazionale jugoslava e la città fu pacificamente invasa dai turisti, noti per avere basso reddito e semplicità di gusto. A questi benedetti turisti abbiamo svenduto tutto: così non avevamo più sotto gli occhi le merci da buttare, abbiamo incassato qualche lira ed è ricominciata la speranza».

È bastata la generosità dei turisti a far ripartire Venezia?

«Vi fu un intervento a fondo perduto, non bastevole, ma è stato un segnale di solidarietà. Venezia è una città costosa, che ha bisogno di amore, di regole e di tante risorse economiche».

Come farla sopravvivere?

«Le lagune non durano mai. Venezia ha resistito per tanti secoli perché i veneziani hanno spostato i fiumi e rafforzato le difese litoranee con i Murazzi. Il turismo non basta e Venezia ha bisogno della solidarietà dello Stato e del Mose, la diga mobile che alza le barriere solo quando servono, chiude alle alte maree e non alle navi. Chiudere le bocche di porto sarebbe pura follìa: da laguna biologicamente viva e vitale diventerebbe un pantano».

È forte la polemica sull'intervento umano fattosi devastante, come sulle navi giganti che mettono in pericolo la laguna.

«L'incompatibilità è con le navi fuori scala, che è bene facciano un altro percorso. Come la laguna trae vita dal mare, così l'economia veneziana trae vita dai traffici. Quando da ragazzini vedevamo la sagoma di una nave comparire dalle calli e dai campielli e percorrere il canale della Giudecca, salutavamo con la mano.

Un po' come in un Amarcord ante litteram, la nave era ricchezza, turismo, sogno».

Commenti