Una notte di dolore alla ricerca di quei poveri pezzi di identità

Vigili del fuoco e volontari lavorano fino all'alba alla luce dei riflettori. Poi lo straziante rito del riconoscimento delle salme

Una notte di dolore alla ricerca di quei poveri pezzi di identità

dal nostro inviato ad Andria

Il terreno, illuminato a giorno dalle fotoelettriche dei pompieri, sembra un campo di battaglia. Migliaia di guanti di lattice blu, garze, bottiglie di plastica vuote poggiano su un tappeto di schegge di vetro e detriti di metallo e vetroresina, fogli di carta, pezzi di sportello piegati come lattine di birra: è quel che resta dei due locomotori della Ferrotranviaria, andati in pezzi dopo il terribile frontale di martedì mattina.

Centinaia tra volontari delle misericordie, guardie zoofile e forestali, addetti delle ferrovie, finanzieri, carabinieri e poliziotti - e persino un gruppo di ultrà dell'Andria che ha portato acqua, ghiaccio e caffè - si muovono come formiche intorno al perimetro, avvolto da una nube rossiccia di polvere che confina col buio del cielo, lasciando al centro dell'azione gli uomini e i mezzi dei vigili del fuoco, che setacciano i due convogli contorti, accostati di sbieco dopo essere deragliati dai binari ognuno alla propria sinistra.

«Stiamo togliendo i detriti, con la massima cautela, dal punto dell'impatto tra i due treni, cercando eventuali altri passeggeri bloccati sotto le macerie, man mano che i mezzi liberano la scena», sospira il dirigente dei vigili del fuoco Enrico Curzio, reggendo l'elmetto cromato col braccio destro e passando l'altra mano tra i capelli bianchi. In 32 anni di carriera uno scenario simile non gli era mai capitato. «A questo punto non ci aspettiamo superstiti, ma procediamo con prudenza, con la massima cautela», ripete.

Già, ormai è mezzanotte, lo schianto dei due treni nel piccolo uliveto nelle campagne tra Andria e Corato si è consumato in pochi istanti più di dodici ore fa. Sul terreno i segni della lotta per la vita di chi viaggiava su quei convogli e dei soccorritori accorsi ad aiutarli. I morti sono in obitorio, al policlinico di Bari, dove poche ore dopo andrà in scena lo straziante rituale del riconoscimento da parte di amici e parenti. I feriti sono in ospedale. I volontari invece sono quasi tutti ancora qui. Pronti ad accorrere a un cenno dei pompieri chini sotto i vagoni impennati in precario equilibrio, le magliette incrostate di sale e sudore, col toboga arancione e il sacco verde vuoto che aspetta almeno un altro corpo. «Uno dei macchinisti che ancora non si trova», spiega Cosimo, arrivato con la sua misericordia poco dopo l'incidente. E anche Michele Emiliano, stretto nella sua giacca scura, è lì per aspettare il recupero dell'ultimo corpo. È tornato dopo l'incontro col premier Renzi, stringe mani, abbraccia collaboratori e sindaci dei comuni vicini. La vittima che manca all'appello non si trova, «forse è stato sbalzato chissà dove dalla cabina», ipotizza un volontario della Croce rossa, «o magari si è buttato». «Ma che macchinista, è una donna», giura invece Antonella, che viene da Putignano e che finora si era confrontata solo con «normali» incidenti stradali. Racconta lo spettacolo raccapricciante al quale ha assistito mentre aiutava i feriti sulla terra rossa o tra i vagoni ammaccati e i sedili divelti. Il macchinista «c'era, morto, ma col braccio sugli occhi, come per provare a proteggersi». La donna «ancora sul sedile, non respirava più, però con un abbraccio aveva coperto la sua bambina. Sembrava che la piccola avesse solo un braccio rotto, l'abbiamo mandata in ospedale, ma poi ci hanno detto che nemmeno lei ce l'ha fatta». Intanto la notte avanza, le ore passano ma il lavoro non si ferma, anche se tutto ciò che si può fare è sperare di ritrovare nuove vittime, incrementando il bilancio in vite umane già pesante. Su 27 denunce di scomparsa, le salme sono solo 23, 22 quelle identificate.

Alle tre un cigolio sovrasta il rumore dei generatori elettrici: i due vagoni ancora sui binari del treno partito da Andria si muovono, tornano indietro trainati da una motrice, escono dalla cupola di luce artificiale e svaniscono dietro la curva che poche ore prima aveva reso inevitabile il frontale tra convogli. I due uomini che guidano la pala e la tenaglia pneumatiche continuano a ripulire il terreno con precisione chirurgica, portando via pezzi di carrozza, enormi e pesantissimi carrelli d'acciaio, tranci del tetto dei treni grandi quanto una roulotte. Una dopo l'altra le carrozze divelte scivolano sulle ruote d'acciaio tra gli ulivi, finché il campo è sgombro per le unità cinofile. Poco prima dell'alba sembra che la ricerca abbia dato frutti. I pompieri e la scientifica riemergono da sotto un carrello con qualcosa in una busta blu. Un brandello di corpo. «Siamo sicuri che l'autista sia lì sotto», sussurra un vigile urbano, «poveretto, il primo ad andarsene e l'ultimo a essere ritrovato».

Ma quando sorge il sole ci sono ancora tre vagoni di traverso sui binari. la la conta pietosa delle vittime non è finita. Una rovente mattina di luglio ricomincia a bruciare sulla pelle dei vivi, dei tre dispersi però, nessuna traccia.

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