Alla fine Hillary Clinton fa anche tenerezza. Si porta stampata in faccia questa maschera di cartapesta che esprime stupore fuori misura, come un infarto di gioia («Oh, my God!...») anche quando chiede un bicchier d'acqua. Attraversa folle osannanti, stelle filanti sui cui è scritto che il momento è storico, ma poi passa Bernie Sanders, il socialista americano (esemplare fuori commercio numero uno) il quale le ruba la scena. Sia pure per concederle benignamente con ritardo imperdonabile) l'endorsement, l'appoggio. Fatica sprecata. Sanders ha creato un nuovo partito nel partito e quel nuovo partito guarda alla Clinton come un mostro, una corrotta parassita che rispecchia il marcio del sistema americano.
Le truppe di Bernie Sanders, i «sanderisti» esaltati e ammassati contro i vetri dalla parte della strada come avventisti dell'ultimo giorno del giudizio, si sono incerottati la bocca con nastro isolante nero per dire: ah se potessimo palare. Meglio che stiamo zitti. Pochissimi di loro voteranno per Hillary. La odiano ma non lo possono urlare. Preferiscono un pezzo di nastro isolante sulle labbra.
Lei ride gioiosa: «Oh my God». Che stupore, che meraviglia, quanta bella gente. Arriva Meryl Streep scarmigliata e felice di vivere un momento storico al femminile, ma pochi la ascoltano. Intanto, quel lestofante di Trump ne combina un'altra delle sue e rovescia il tavolo dell'attenzione: chiede alle agenzie di spionaggio russe («Non a Putin, che diritto ho io di dire a Putin che cosa deve e che cosa non deve fare?») di rintracciare per favore e trentamila email sparite dal computer della Clinton e sbatterle sul tavolo.
Un uragano, una tempesta di sabbia, tutti gli obiettivi del cinegiornali opacizzati, si sprecano le voci di scandalo, ma il sistema con cui marcia Trump è cingolato e non teme nulla e nessuno. Una faccia tosta allenatissima, un peso massimo senza pietà. L'ex capo dei servizi segreti Leon Panetta, con l'eco di tutto il partito democratico, decreta che Trump non può essere eletto, è un irresponsabile che invita i servizi segreti di un altro Paese a ficcare il naso nel proprio. E infatti eccolo l'invito da una conferenza stampa in Florida: «Russia, se mi stai ascoltando - dice Trump - spero che riuscirai a trovare le 30mila e-mail di Hillary scomparse». Ha rubato di nuovo la scena a Hillary come Lucy rubava il pallone a Charlie Brown.
Stanotte Hillary ha cercato di tirare un po' su le sue posizioni con un discorso pronunciato troppo tardi per gli orari di chiusura di questo giornale, ma studiato per benino come fa sempre in ogni dettaglio. Aveva già incassato la nomination per acclamazione e tutta la festa appariva ed appare molto eccitata e molto colorata, con una presenza massiccia degli afroamericani che vedono in una vittoria della Clinton anche una vittoria della loro causa che l'ex first lady (e segretario di Stato) ha sposato interamente, tenuta per mano dal presidente Obama che ha parlato a tarda notte.
Ma chi ha veramente pugnalato nel cuore Hillary Clinton è stata la donna che ha fatto il più bel discorso per sostenerla e di cui abbiamo già reso conto ieri: quello di Michelle Obama, la First Lady in carica. Bella. Potente. Nera. Limpida. Efficace e senza retorica. È apparsa da lunedì notte la candidata ideale del partito democratico: la prima donna nera alla Casa Bianca. Invece Michelle ha steso il suo tappeto rosso ai piedi della sbiaditina Hillary con la sua maschera di gesso fissa e sbalordita («Oh, my God!») e tutti hanno pensato che la moglie dell'ex presidente era in quel momento, di front a tutte le telecamere d'America, la numero due e non la numero uno della festa. Barack Obama come si sa non è figlio di schiavi americani ma di un allegro studente kenyota che venne a laurearsi alle Hawaii lasciandosi alle spalle una bella ragazza americana bionda incinta. Michelle invece discende dagli schiavi delle piantagioni e solo lei poteva dire «gli schiavi miei avi hanno costruito la casa in cui ora abito e in cui ora ogni mattina le mie figlie giocano con i cani sul prato».
Quando le hanno chiesto se ha fatto un pensierino sulla Casa Bianca, Michelle ha detto che non ci pensa nemmeno: troppa sporcizia, troppa violenza, forse, chissà, magari un giorno le sue figlie Sasha e Malia potrebbero. Con un magistrale colpo retorico ha anche detto che le sue «bellissime ragazze nere» saranno certamente più sicure in un'America guidata dalla Clinton di quanto non lo siano state finora. Applausi.
Ma questo accenno alla sporcizia che bisogna accettare per correre una campagna presidenziale ha involontariamente acceso un riflettore su Bill Clinton, irreparabilmente invecchiato e il suo discorso sulla moglie. Francamente imbarazzante. È ormai di dominio pubblico che Hillary fu costretta a ingoiare rospi ben più indigesti di quello più famoso della stagista Monica Lewinsky e delle sue performances.
La First Lady dovette fare una scelta: investire sul marito per fare carriera, o mandarlo al diavolo una volta e per tutte in nome della dignità. Scelse la prima soluzione, che l'ha fatta odiare da tutte le femministe d'America. Ma sentire Bill Clinton tessere le sue lodi magnificandone la «generosità» e «lungimiranza», fa sorridere, anzi ridere.
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