«Nozze più tardi e stress da lavoro Così la famiglia diventa utopia»

Stefano Zurlo

Il Sessantotto e la rivoluzione sessuale. Per Francesco Alberoni la grande crisi demografica ha le sue radici in quella cultura.

Che cosa succede in quegli anni?

«Col Sessantotto arriva la liberazione della donna. Una liberazione sessuale, sociale, economica. Le ragazze, che prima miravano a sposarsi e a fare figli, ora hanno altri obiettivi: vanno in ufficio e vogliono fare carriera. Tutto questo avviene mentre la famiglia tradizionale va in crisi».

In pratica?

«Un po' alla volta l'età del matrimonio sale. Se prima si convolava a nozze a 22-23 anni, già negli anni Novanta si slitta più in là. Ma se si trova marito a 30 anni, fatalmente si faranno meno figli. Due se non uno, invece dei tre o quattro delle generazioni precedenti. E questo è solo il primo passaggio».

Poi?

«Poi si devono registrare altri fenomeni, strettamente intrecciati fra loro. C'è il logorio da lavoro. La donna per essere alla scrivania alle 8 deve uscire di casa alle 6 e rientra alle 8 di sera. Come può una trentenne gestire uno o due bambini in un contesto cosi difficile e complicato?».

Sono venute progressivamente meno le condizioni per formare una famiglia?

«Possiamo anche dire che i mancati figli sono figli dei treni sporchi e in ritardo, dei mezzi che non funzionano, del pendolarismo che brucia tempo ed energie».

Basteranno vagoni più confortevoli e rapidi per riportare la cicogna?

«No, ma sono un pezzo di una risposta che deve essere articolata. In alcuni paesi europei il telelavoro ha fatto la sua parte per riempire le culle. In ogni caso quando si dedica troppo tempo al lavoro non si fanno più figli. Lo sapevano pure gli indios Guarani del Paraguay che lavoravano sempre e rischiavano di estinguersi. Si stabili cosi che la giornata iniziasse più tardi e il rimedio si dimostrò efficace».

Oggi c'è anche la crisi economica.

«Che ha dato un altro colpo alla natalità. Oggi mettere al mondo un figlio diventa un'impresa. Ci sono coppie che si fermano al secondo baby perché fare il terzo figlio vuol dire esporsi alla povertà».

Ma allora come se ne esce?

«Stiamo andando incontro ad una catastrofe demografica e la politica parla d'altro, salta completamente questo tema drammatico e vitale per il nostro futuro».

Quali sono le priorità?

«Ci vogliono interventi concreti per aiutare la coppia. Penso all'affitto di un appartamento ad un prezzo ragionevole in una grande città o al telelavoro cui accennavo prima.

E si deve trovare il modo di non penalizzare le donne che restano indietro nel lavoro perché si dedicano ai figli. Occorre armonizzare carriera e famiglia. Alcuni Paesi europei l'hanno fatto e i risultati sono incoraggianti. L'Italia invece si avvia ad essere un paese di vecchi».

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