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Nusrat denunciò gli abusi e fu arsa viva. La sentenza: 16 condannati a morte

Il procuratore: "È lo stato di diritto". Controlli in 27mila scuole

Nusrat denunciò gli abusi e fu arsa viva. La sentenza: 16 condannati a morte

Veniva da Feni, una piccola cittadina nel Sud Est del Bangladesh, circa 160 km a Sud di Dacca, la capitale. Nusrat Jahan Rafi, 19 anni, studentessa, è morta ad aprile. Il suo omicidio brutale ha scosso e scioccato: in molti avevano chiesto giustizia per lei, morta bruciata perché aveva denunciato le molestie subite in un Paese dove denunciare non è facile. Ora 16 persone sono state condannate alla pena di morte: questa la decisione del giudice, Mamunur Rashid. Il primo ministro Sheikh Hasina aveva promesso un'azione rapida. Siraj Ud Doula, il preside della scuola di Nusrat, è tra i condannati alla pena capitale. L'avvocato di Doula, Mahfuzul Haque, ha dichiarato che farà appello alla sentenza. Il verdetto ha richiesto solo 62 giorni: un tempo record per un reato di questo tipo in Bangladesh.

Ma cosa è successo a Nusrat? La ragazza, con l'appoggio della sua famiglia, era andata alla polizia a denunciare le molestie del preside della madrasa di Sonagazi Senior Fazil. Aveva raccontato di essere stata toccata più volte dal preside. Ma un poliziotto l'aveva filmata mentre raccontava quanto successo e il video della denuncia era finito sui media locali, alimentando le persecuzioni da parte della comunità. Il preside, dopo la denuncia, era stato arrestato, ma studenti ed esponenti politici avevano organizzato proteste per la liberazione del preside. Il 6 aprile il fratello l'aveva accompagnata a scuola, ma era stato fermato all'ingresso. Nusrat era stata attirata sul tetto. Lì, cinque persone l'avevano circondata chiedendole di ritirare la denuncia. Nusrat si era rifiutata e allora era stata legata con una sciarpa e data alle fiamme. Nella corsa all'ospedale, Nusrat era riuscita a registrare un video con il cellulare. In quel video la ragazza identificava le persone che avevano contribuito alla sua agonia. Secondo la polizia, gli aggressori avevano sperato di far passare l'omicidio di Nusrat come suicidio. Doula, secondo la polizia, avrebbe ordinato l'omicidio di Rafi dalla prigione. Tra i suoi complici c'erano due politici del Partito della Lega Awami, Maksud Alam e Ruhul Amin, e diversi studenti della scuola islamica.

La storia di Nusrat ha scatenato proteste di massa e acceso i riflettori sulla vulnerabilità delle vittime di violenze e molestie nel paese. Con l'80% del corpo ustionato, Nusrat non ce l'ha fatta. È morta il 10 di aprile e tantissime persone sono state al suo funerale. Il caso ha portato alla luce un mondo in cui denunciare una molestia è difficile e dove, se lo fai, sei segnata a vita e spesso respinta dalla comunità. Dopo l'omicidio, il Bangladesh ha ordinato a circa 27mila scuole di istituire commissioni per prevenire la violenza sessuale. Il procuratore, Hafez Ahmed, ha dichiarato: «Il verdetto dimostra che nessuno riuscirà a cavarsela con un omicidio in Bangladesh. Abbiamo lo stato di diritto».

Ma se l'omicidio di Nusrat è stato devastante, anche la pena di morte lo è altrettanto.

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