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Obama a Cuba, 88 anni dopo Coolidge Rubio e Cruz: «Un viaggio che fa orrore»

Paolo ManzoAppena 90 miglia separano Cuba dalla Florida ma, visto che da 88 anni un presidente degli Stati Uniti non si recava all'Avana, già per questo la visita di Barack Obama e consorte ai fratelli Castro, il prossimo 21 e 22 marzo, deve considerarsi storica, a prescindere dai giudizi etici che ciascuno ha il sacrosanto diritto di avere. Già perché non c'è il minimo dubbio che l'isola caraibica che ha fatto sognare a suo tempo Hemingway e tanti sinistrorsi di casa nostra oggi come da oltre 50 anni a questa parte continua ad essere una dittatura nel senso più classico del termine. Ovvero che perseguita ed incarcera i dissidenti e da cui, appena possono, i cubani continuano a fuggire a gambe levate, spesso e volentieri rischiando la loro vita. Da questo punto di vista non è cambiato nulla dopo l'annuncio fatto dallo stesso Obama e da Raúl Castro, nel dicembre del 2014, che mise fine a mezzo secolo di ostilità ed avviò alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche di cui, la visita annunciata ieri via Twitter dallo stesso inquilino della Casa Bianca è solo la logica conseguenza.Da allora la bandiera a stelle e strisce è tornata a sventolare all'Avana, dove il Dipartimento di Stato Usa ha riaperto la sua ambasciata e, in mancanza della maggioranza necessaria per eliminare l'embargo in Congresso, la Casa Bianca ha fatto di tutto per sbloccare l'impasse con Cuba. Dalla ripresa dei voli commerciali tra i due paesi ufficializzata l'altroieri, alla vittoria - certo parziale in quanto passibile di ricorso - ottenuta dalla statale Cubaexport (e dunque dal gruppo franco-cubano Pernod Ricard Havana Club Licores de Cuba) sulla Bacardi/Martini per la commercializzazione negli Stati Uniti del celeberrimo marchio Havana Club. Una vittoria impossibile senza l'ok dell'ufficio brevetti Usa e del Tesoro obamiano.«Questa visita è un orrore, un assurdità» hanno dichiarato non appena informati dell'annuncio di Obama Marco Rubio e Ted Cruz, i due pre-candidati repubblicani alla presidenza Usa, entrambi di origine cubana ed i cui padri hanno sentito sulla propria pelle «l'oppressione della dittatura castrista».La risposta degli advisor della Casa Bianca è la stessa che vanno ripetendo dal dicembre 2014. Primo. «Con la Cina - che certamente è una dittatura comunista ancor più feroce di quella cubana - è dai tempi di Nixon e Kissinger che dialoghiamo e facciamo business». Secondo. «Abbiamo tentato per 50 anni con l'embargo a far cadere il regime comunista monopartitico per trasformare Cuba in una democrazia. Non ha funzionato e, dunque, è giunta l'ora di tentare un'altra via». Parole di Ben Rhodes, consigliere strategico di Obama per le questioni della sicurezza nazionale. In ogni caso «Obama non incontrerà Fidel Castro».

Di certo c'è che a Cuba l'annuncio dell'imminente arrivo di Obama è stato accolto con entusiasmo dal popolo minuto, el pueblo, e la cosa non deve stupire: secondo un'inchiesta ufficiosa, infatti, oggi il presidente statunitense è assai più amato dai cubani di Raúl Castro.

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