Sarà la vera grana per il governo in carica e, con tutta probabilità, anche per il prossimo. Il mercato del lavoro non risponde ai timidissimi segnali di ripresa. Non è un semplice ritardo. Si sa che l'occupazione risponde per ultima, ma la perdita di posti di lavoro, a parte variazioni di breve periodo di poca importanza, rischia di diventare cronica.
Il punto sui dati lo ha fatto ieri la Cgia di Mestre. Dei segnali di ripresa ci sono. Nell'ultima parte dell'anno potremo contare su 123mila nuovi occupati e 36mila disoccupati in meno. Ma il confronto gli anni precedenti al 2008 conferma una crisi strutturale. Rispetto al 2007, lo stock medio degli occupati nel secondo semestre di quest'anno sarà inferiore di 142.000 unità mentre i disoccupati saranno 1.447.000 in più. Nel 2007 il tasso di disoccupazione era al 6,1 per cento, quest'anno si attesterà all'11,4 per cento: una quota quasi doppia al dato pre-crisi.
Il governo sa benissimo che a fine mandato (o a fine legislatura) dovrà fare i conti con dati pessimi sul lavoro. Per questo il premier Paolo Gentiloni, in pieno accordo con il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, ha deciso di puntare le pochissime risorse a disposizione nella prossime legge di Bilancio su misure pro occupazione. È noto il progetto della decontribuzione per i neoassunti, da rendere se possibile strutturale. Quindi, il taglio del 50% dei contributi e poi una riduzione di 4 punti del cuneo fiscale, due a favore del dipendente, due per il datore.
Poi un assegno per il ricollocamento di lavoratori disoccupati. Allo studio del governo un bonus che può arrivare a 5.000 euro all'anno per una platea che dovrebbe essere al massimo di 500 mila senza lavoro.
Ricette che fanno storcere la bocca a molti. La decontribuzione ha già sostanzialmente fallito nella versione del precedente governo. E ora si rischia il bis, spiega Maurizio Sacconi, ex ministro del Lavoro e presidente della commissione Lavoro del Senato. «Gli incentivi ipotizzati per aumentare l'occupazione giovanile produrranno una piccola fiammata in prossimità del voto ma non depositeranno una maggiore occupabilità dei giovani».
Inutile riproporre la strada della decontribuzione anche per la Cgia che ricorda i precedenti del governo Renzi. «Forse conclude il coordinatore dell'ufficio studi Paolo Zabeo sarebbe più opportuno intervenire tagliando l'Irpef. I posti di lavoro si creano se riparte l'economia, se con più soldi in tasca le famiglie tornano a sostenere la domanda interna e non attraverso misure artificiose».
Su questi temi stanno iniziando ad alzare la voce anche i sindacati. «Se la legge di Stabilità non andrà nella direzione giusta noi non staremo a guardare», avverte il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo. «Bisogna intervenire per dare una fiscalità di vantaggio mirata nel Mezzogiorno perché il vero problema del Paese è la distanza con il resto del Paese, che è aumentata, con la disoccupazione giovanile che al Sud raggiunge più del 60%. Vogliamo sederci e discutere seriamente». Per il momento al centro del confronto governo-parti sociali ci sono le pensioni. Il 30 agosto riprende il confronto tra ministero del Lavoro e sindacati. In agenda, l'Ape (anticipo pensionistico), Rita (Rendita integrativa temporanea anticipata), agevolazioni per le donne, pensione di garanzia per i giovani.
Ma l'argomento più spinoso, seppure non scritto in agenda, è l'aumento automatico dell'età pensionabile a 67 anni nel 2019 in relazione alle aspettative di vita. In teoria tutto dipende dalle tabelle Istat che saranno pubblicate in settembre. In realtà il governo ha già deciso, l'aumento ci sarà. E i sindacati non resteranno a guardare.
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