Oggi Renzi sale al Colle: il suo destino sembra segnato

Matteo è deciso a dare le dimissioni dopo la disfatta referendaria. E pensa anche a un passo indietro nel Pd

L'affluenza altissima e il fatto che il risultato delle urne si vada numericamente profilando come un super «No» sono i due elementi centrali di quella che per Matteo Renzi rischia di essere una sconfitta epocale. Non solo politica ma anche e soprattutto personale. Una disfatta che peserà inevitabilmente anche sul futuro del leader del Pd che ha voluto personalizzare il referendum costituzionale, trasformandolo di fatto in un plebiscito su di sé. Un plebiscito che ha perso sonoramente, mettendo forse a rischio anche la possibilità di rientrare a breve sulla scena politica, sia che si voti a giugno del prossimo anno, sia - scenario a questo punto molto improbabile - che la legislatura arrivi alla sua scadenza naturale nel 2018.

Se la forbice di circa venti punti tra «Sì» e «No» trovasse conferma nei voti reali scrutinati, insomma, il destino del governo sarebbe segnato. Con il premier che già oggi dovrebbe presentarsi al Quirinale per rimettere il mandato a Sergio Mattarella. Che, con una bocciatura così sonora, dovrà con ogni probabilità rivedere le sue intenzioni della vigilia, che erano quelle in caso di vittoria del «No» di rimandarlo comunque alle Camere per verificare se avesse ancora una maggioranza parlamentare. Il super «No», infatti, è una sconfitta politica di proporzioni tanto grandi da non rendere percorribile queste strada. Che neanche lo stesso Renzi, peraltro, sarebbe disposto a seguire. Anzi, i primi rumors raccontano di un leader del Pd che starebbe seriamente meditando un passo indietro anche come segretario del Pd.

Il capo dello Stato, però, continuerà comunque a cercare di percorre la via della stabilità. Molto difficile, dunque, che si voti a marzo come chiedono alcuni dalle opposizioni. Più probabile, invece, che si ragioni su elezioni anticipate a giugno (dopo il G7 che si terrà a Taormina il 26 e 27 maggio), con un governo di transizione che si occupi di approvare al più presto la legge di Stabilità. Tra le priorità, infatti, secondo Mattarella c'è da dare subito un segnale di solidità all'Europa. Ed è chiaro che già da oggi lo scenario più plausibile è quello di una risalita dello spread (il differenziale tra Btp e Bund tedeschi) con alcuni giorni di turbolenze sui mercati ai quali l'unica risposta efficace può essere solo quella di una rapida soluzione della crisi. I nomi dei possibili traghettatori sono quelli già fatti in questi giorni: dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan al presidente del Senato Piero Grasso, fino alla new entry delle ultime ore Romano Prodi. Una scelta su cui peserà anche quel che vorrà fare Renzi che, in quanto segretario del Pd, avrà comunque l'ultima parola. Non è escluso, dunque, che un governo ponte possa anche essere a guida dem, magari con Dario Franceschini a Palazzo Chigi. In questo quadro, ovviamente, si profila anche una durissima resa dei conti dentro il Pd, visto che i tanti parlamentari bersaniani che due anni fa diventarono renziani nel giro di una notte benedicendo il killeraggio di Enrico Letta ora sono pronti a seguire esattamente lo stesso schema con Renzi. Non è un caso che già ieri sera si vociferasse di movimenti in corso nei gruppi parlamentari dem.

Non che le acque siano meno agitate nelle opposizioni.

A parte i Cinque stelle, infatti, il centrodestra è destinato da qui breve a fare i conti con i due diversissimi approcci che hanno Silvio Berlusconi da una parte e Matteo Salvini e Giorgia Meloni dall'altra. A partire dal sedersi al tavolo per rimettere mano alla legge elettorale. Sarà quello il primo terreno di scontro.

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