È un Vladimir Putin a due facce quello che si rivolge al neo presidente americano Joe Biden. Un Putin che deve tenere conto dell'atteggiamento molto diverso nei confronti di Mosca rispetto a quello ondivago e ambiguo tenuto da Donald Trump. Biden non fa più sconti alla Russia, con lui l'America è tornata a un classico atlantismo e chiede conto al Cremlino dei suoi comportamenti ostili o sgraditi a Washington: dalle interferenze nelle elezioni americane alle incursioni degli hacker nei più vari ambiti, dal ruolo interventista in Ucraina fino alla repressione dell'opposizione interna russa che assume sempre più il volto carismatico di Aleksei Navalny. In questi vent'anni al potere a Mosca, Putin non aveva mai incontrato un presidente americano così mal disposto, anche personalmente, verso di lui: è vero che Obama non lo amava, ma non dava al fronte russo la priorità dei suoi predecessori, mentre fra i repubblicani, oltre al caso estremo e ambiguo di un Trump affascinato dagli autocrati, si ricorda che George W. Bush tentò di impostare un rapporto personale con Putin, e pronunciò la famosa frase «l'ho guardato negli occhi, ho letto nella sua anima e ho capito che ci si può fidare di lui». Biden ebbe invece occasione qualche anno dopo di dire a Putin, guardandolo dritto negli occhi, «io non credo che tu abbia un'anima», ricevendo come risposta dal leader russo un gelido «allora ci capiamo».
Adesso che Biden è alla Casa Bianca, Putin sembra scegliere un approccio bifronte. Da una parte offre a parole un ramoscello d'ulivo agli americani, parlando di momento adatto per rilanciare le relazioni bilaterali e lodando la disponibilità di Biden a rinnovare l'intesa Start sugli arsenali nucleari: «Un passo nella direzione giusta», l'ha definita, mentre la Duma di Mosca, dominata dal suo partito personale, votava a favore dell'accordo. Contemporaneamente, però, il presidente russo coglie l'occasione offerta dalla Conferenza economica mondiale di Davos in Svizzera per lanciare al successore di Trump messaggi di sfida, che riecheggiano nella sostanza quelli già espressi (anche da lui virtualmente, causa pandemia) nella stessa sede dal presidente cinese Xi Jinping. È una sfida politica al «mondo unipolare» guidato dagli Stati Uniti, che secondo Putin è in declino ma pretende di continuare a negare dignità ad altri sistemi come quello russo. E nel senso di rilanciare il progetto russo di Eurasia nel tentativo di dividere il mondo occidentale probabilmente vanno lette le aperture che ieri Putin ha fatto all'Ue: «Offriamo il ritorno a un'agenda positiva, ma naturalmente l'Europa occidentale e la Russia dovrebbero essere insieme: l'attuale situazione è anormale».
La sfida di Putin mescola abilmente (proprio come aveva fatto Xi) osservazioni oggettive con slogan smentiti dalla realtà: così, mentre lancia l'allarme sul rischio dell'esplodere di conflitti locali anche seri se i protagonisti di un mondo multipolare non si decideranno a rispettarsi a vicenda, Putin accusa ad esempio gli Stati Uniti di scivolare verso la diseguaglianza sociale, fingendo di ignorare che è proprio la sua Russia l'esempio eclatante di questo problema, con quasi la metà delle ricchezze nazionali nelle mani dell'uno per cento della popolazione. Sullo sfondo c'è poi la questione Navalny, che dal carcere ha lanciato una nuova manifestazione di protesta per domenica prossima e che anche ieri Putin ha evitato di nominare.
L'uomo politico sopravvissuto all'avvelenamento da novichok e poi arrestato al suo ritorno a Mosca sta riuscendo a coagulare attorno a sé l'insofferenza di una parte crescente dalla popolazione russa verso un sistema autoritario e illiberale. Putin sceglie la repressione dura: ieri ha fatto irrompere la polizia nelle sedi del suo movimento e arrestare diversi dirigenti e familiari di Navalny. Su questo Trump glissava, Biden non lo fa e non lo farà.
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