Rideva. Un ghigno inquietante sul volto un po' gonfio di chi ha dormito poco e male. Baffi e pizzetto incolti, «bomberino» marrone sopra il giubbotto antiproiettile, jeans e scarpe comode. Eccolo il terrorista dei Pac, i Proletari armati per il comunismo, appena sceso dall'aereo militare, ieri mattina, a Ciampino. Sono le 11,50, dieci minuti dopo l'atterraggio del volo speciale per Roma.
Cesare Battisti, nonostante i suoi 37 anni di latitanza, inframezzati dal carcere, fughe rocambolesche e coperture eccellenti, non ha perso il suo ghigno tanto odiato. Testa alta, ha attraversato la pista dell'aeroporto romano Giovan Battista Pastine con la sicumera di sempre. Questa volta ad attenderlo un centinaio di giornalisti, fotoreporter e operatori delle televisioni di mezzo mondo. Oltre, naturalmente, gli uomini del nucleo mobile della Polizia penitenziaria, il vicepremier Matteo Salvini e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. «Stiamo assistendo a un pezzo di storia» commentano gli agenti in attesa sulla striscia di asfalto appena occupata dal Falcon 900 del 31esimo Stormo dell'Aeronautica italiana. All'apertura del portellone il brusio del «comitato d'onore» copre per pochi secondi persino i motori del jet.
Scende le scalette scortato dai funzionari dei servizi segreti e dagli uomini dell'Interpol che l'hanno stanato in Bolivia. Battisti era senza manette. Passo sicuro, l'unica frase pronunciata a mezza bocca l'ha detta negli uffici dell'aeroporto militare durante le procedure dell'estradizione. Ovvero la notifica degli atti, le sentenze restrittive della libertà emesse dalle Procure. «Ora so che andrò in carcere» le sue parole. Lo sperano soprattutto i familiari delle sue vittime. Durante il volo dallo scalo Viru Viru di Santa Cruz, in Bolivia, raccontano gli uomini che lo hanno arrestato, Battisti avrebbe persino dormito un po'. Fra un pisolino e l'altro l'ex terrorista rosso accusato di quattro omicidi avrebbe parlato della sua vita, della latitanza prima in Francia e poi in Brasile. Ridente ma anche rassegnato a trascorrere il resto dei suoi giorni in prigione. Ad attenderlo fin da oggi, insomma, carcere duro nel penitenziario di massima sicurezza di Oristano, in Sardegna. I primi sei mesi in isolamento diurno, il massimo della pena consentita dal nostro ordinamento. Poi fine pena mai, come tutti gli altri ergastolani, con la possibilità di lavorare. Dietro le sbarre, ovviamente. Insomma Battisti rimette piede sul suolo italiano dopo la fuga, il 4 ottobre del 1981, dalla prigione di Frosinone dov'era detenuto.
L'arresto e l'estradizione di Battisti non sono «un punto di arrivo ma un punto di partenza» commenta il ministro Salvini alla folla di giornalisti a Ciampino. Lasciata la pista, prima di essere accompagnato negli uffici distaccati della Polizia di via Patini per il fotosegnalamento, all'ex militante rosso sono stati forniti abiti pesanti. Il bomber stile anni '80 adatto al clima boliviano, del resto, era troppo leggero per il freddo intenso della capitale. E così Battisti, prima di salire su una volante diretta in Questura, è riapparso con un giaccone invernale.
Un'altra ora per le operazioni di schedatura elettronica (sul Ced dell'Interpol c'erano solo vecchie foto e le sue impronte digitali) e nel primo
pomeriggio il militante dei Pac si è diretto nella sua nuova residenza, la casa circondariale Salvatore Soro. Una struttura considerata di massima sicurezza: dal 2012, anno della sua inaugurazione, nessuno è mai evaso da lì.
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