Oro e Franchi svizzeri, tornano i beni rifugio

Oro e Franchi svizzeri, tornano i beni rifugio

Si torna ai tempi dei beni-rifugio. Con una crisi che come confermano i dati dell'Istat e a dispetto delle promesse elettorali del governo con la manovra appena varata continua a mordere senza lasciare molte vie d'uscita anche ai risparmiatori, la parola d'ordine è: stare alla larga dagli investimenti tradizionali che, tra una deflazione che non recupera e tante banche sull'orlo del baratro, continuano a riservare amare sorprese a quello che resta della classe media sempre più in via d'estinzione.

Se a consigliare vie alternative fosse stato soltanto un bastian contrario della prim'ora come Ernesto Preatoni non ci sarebbe nulla di nuovo sotto il sole, ma oggi a metterci in guardia è Paolo Savona, già allievo di Guido Carli: un tempo, dai vertici di Bankitalia, Confindustria e come ministro dell'Industria nel governo Ciampi, proprio lui era stato molto vicino a quei padri dell'Europa che avevano riposto ben altre speranze sul futuro del Vecchio continente. Nella prefazione all'ultimo libro dell'imprenditore lombardo, l'economista sardo è costretto ad allargare le braccia: se non si riuscirà a voltare pagina, è il succo del suo discorso, il degrado del Paese si farà sempre più incalzante, E Savona oggi condivide questo prontuario d'emergenza: 1) tenersi il più possibile lontani dai titoli a reddito fisso e azionari; 2) mettere da parte, in modo legale, risorse in franchi svizzeri; 3) acquistare una quantità limitata d'oro; 4) investire negli immobili di alcuni Paesi del Nord Europa come l'Estonia, la Lituania e, addirittura, la Russia.

Se il primo consiglio poteva essere piuttosto scontato con mercati così volatili e con la deflazione che non si attenua, il ritorno al franco svizzero e all'oro ci fanno quasi rivivere tempi di guerra o di gravissime congiunture passate con il lingottino sotto il materasso. Sembra trascorsa un'eternità da quando i nostri economisti continuano a schernire la Svizzera considerata troppo isolata e assolutamente fuori dall'Europa. Un Paese, insomma, rimasto ancorato agli scenari del secolo scorso. Romano Prodi, che traghettò l'Italia nel club dell'euro, così parlava nel 2012 a proposito della vicina Confederazione: «La Svizzera è un caso particolare: la sua prosperità è dovuta al fatto che, per una serie di motivi storici, le sue banche sono diventate un rifugio dei capitali che fuggono da altri Paesi». Come dire: i cantoni sono un'enclave, quasi un retaggio del passato. Tanto sorpassati che oggi sono tornati d'attualità con un'Europa che vacilla sempre più e con un'Italia che, nonostante gli ultimi tentativi di Renzi, si è legata mani e piedi al carro di Bruxelles. L'ultima conferma della crisi continentale è arrivata da Brexit che sancirà il divorzio nel 2017 della Gran Bretagna dalla Ue: se prima si parlava dello splendido isolamento inglese, oggi gli eurocrati definiscono il «No» britannico all'Europa una specie di follia collettiva dei sudditi di Sua Maestà che, al momento di votare, «non sapevano cosa facevano». Sono tanto presuntuosi, gli eurocrati, che, invece di aprire gli occhi sulla triste realtà attuale del club comunitario, continuano ad addossare tutte le responsabilità agli euroscettici. A questo punto diventa invece prioritario mettere in piedi una strategia della sopravvivenza perché, come scrive Savona, «chi ha scelto l'euro e chi ancora comanda non riesce a pensare diversamente dallo status quo sul quale, ogni tanto, e con scelte parziali, solleva una cortina di fumo per mascherare la realtà».

Per dare finalmente la scossa - dice Preatoni e Savona prende atto - dovrebbe esserci «un grande No» al nostro prossimo referendum costituzionale del 4 dicembre: qui ci vuole una bomba per scardinare vecchi equilibri prima nel Belpaese e poi nella Ue. Altrimenti, continueremo a fare finta di nulla e, dopo Brexit, avremo, magari, di nuovo Grexit, in attesa di trasformare addirittura l'Italietta in un cantone elvetico.

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