Professor Luca Ricolfi, lei e Piero Ostellino, scomparso sabato, siete tra i fondatori della Fondazione Hume (www.fondazionehume.it). Come vi eravate conosciuti?
«Ci siamo conosciuti poco più di dieci anni fa, per iniziativa di alcuni giovani amici appena conosciuti, fra cui Pier Luigi Diaco, Nicola Grigoletto (attuale direttore della Fondazione), Raffaella Rancan».
Che ricordo ha di lui?
«Il ricordo di un liberale allo stato puro, innamorato dei testi classici (soprattutto della scuola scozzese), di cui aveva una collezione bellissima. Ma anche il ricordo di un uomo che amava immensamente la vita, pieno di humor e autoironia. E straordinariamente legato alla moglie Marisa, che amava e per cui aveva una sorta di venerazione, o forse di riconoscenza: la chiamava il mio amministratore delegato, per la generosità con cui soleva proteggerlo dalle noie del mondo esterno».
Ostellino fu anche tra i promotori della Fondazione Einaudi a Torino, ma i percorsi poi furono differenti. Le disse mai qualcosa a proposito?
«Sì, un giorno mi disse, ridendo: io a Torino ho fondato il centro Einaudi, li ho lasciati che erano liberali, poi sono tornato ed erano diventati tutti comunisti».
Ecco, Ostellino fu sempre impermeabile alle lusinghe del conformismo intellettuale, che poi spesso in Italia significa conformismo di sinistra. È una scelta che si paga?
«Sì, certo che si paga. Si paga con il disprezzo se si è dichiaratamente di destra (pensate a tutto quel che è toccato a Marcello Veneziani), con la marginalità se ci si limita a non essere intruppati. Ma questo non era un problema per Piero Ostellino che anzi, per come l'ho conosciuto, pareva trarre persino un po' di soddisfazione dall'essere escluso, ostracizzato, o semplicemente mal tollerato. Come se pensasse: tenetemi pure a distanza, puché mi lasciate in pace con i miei amati classici. Essere stati allievi di Passerin D'Entrèves e Bobbio lascia il segno».
Perché il liberalismo, e in generale la critica allo statalismo, sono così impopolari nell'elite intellettuale italiana?
«Secondo il grande sociologo Boudon gli intellettuali diffidano del pensiero liberale un po' ovunque, non solo in Italia. Difficile capire perché, ma in una spiegazione io non dimenticherei un fattore: l'intellettuale è per sua natura statalista, perché dipende dal principe (oggi lo Stato-mamma che tiene in piedi la cultura). Per essere liberali bisogna sentirsi in grado di offrire qualcosa che il mercato apprezza, senza bisogno di sussidi e protezioni».
C'è dunque una egemonia culturale della sinistra? Anche nell'università italiana?
«Forse in passato c'era
egemonia, perché la cultura di sinistra era glamour. Oggi non direi: la sottomissione alla cultura di sinistra mi sembra più un fatto di pigrizia intellettuale, quando va bene, e di tornaconto personale, quando va meno bene».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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