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La pace è più vicina soltanto a parole. Né Mosca né Kiev la vogliono davvero

Domande e risposte dopo Mar-a-Lago. Ecco perché la fiducia ora è un azzardo

La pace è più vicina soltanto a parole. Né Mosca né Kiev la vogliono davvero

Il giorno dopo l'incontro di Mar-a-Lago è lecito domandarsi quali saranno le effettive conseguenze di un evento che era stato presentato come una possibile svolta verso la fine del conflitto in Ucraina. Ma è davvero così? Proviamo a rispondere a qualche domanda che tanti non addetti ai lavori si pongono.

1. A Mar-a-Lago sono stati fatti passi effettivi verso la pace?

Più no che sì. Nel senso che la fine del conflitto dipende in ultima analisi da Vladimir Putin, che a Mar-a-Lago non c'era. Ancora ieri, a vertice ultimato, il Cremlino ha ripetuto chiaramente che la fine della guerra potrà esserci solo quando la Russia avrà conseguito tutti i suoi obiettivi, ovvero imposto tutti i suoi diktat. Dunque, niente compromessi: o Trump riuscirà a imporre a Zelensky di subirli o la guerra continuerà. Molto più probabile la seconda.

2. Perché Putin si sente (o finge di sentirsi) così forte in questa fase?

Perché sa bene che Trump non è un arbitro imparziale di questa contesa. Il presidente americano pende chiaramente (anche se non interamente) dalla parte della Russia per una serie di ragioni, alcune note, altre meno. La principale è la sua scelta di abbandonare di fatto la storica alleanza con l'Europa per perseguire una politica neo imperiale che prevede la divisione del mondo in sfere d'influenza con altri due imperi: la Cina e la Russia. In questa nuova ottica, per noi scioccante al punto che ancora fatichiamo a crederci, l'Unione Europea è solo un concorrente debole da spezzettare per meglio dominarlo d'intesa con forze estremiste di destra europee, mentre la Russia può essere un partner anche economico con cui spartirsi di fatto il Vecchio Continente. Putin ha ben chiaro tutto questo, e soprattutto sa che i tempi utili per cogliere un'occasione storica irripetibile sono ristretti: non solo perché lui ha ormai 73 anni, ma perché non è scritto che l'America rimanga trumpiana per sempre. Agire adesso, dunque, senza concedere nulla. Le altre ragioni per cui Trump tende a favorire Mosca riguardano i molti favori opachi concessigli già dagli anni Novanta da oligarchi vicini a Putin: non è escluso che lo "zar" tenga in cassaforte segreti che per Trump sono ben più imbarazzanti degli Epstein Files.

3. Putin vuole davvero la pace?

Dipende da cosa si intende per pace. Per lui significa il sì a tutte le sue pretese attuali e la messa in atto delle condizioni per conseguire in seguito le rimanenti. Quando Putin dice che non gli interessa una tregua ma solo la pace, non è un concetto incoraggiante come potrebbe apparire: significa piuttosto che non vuole concedere all'Ucraina il tempo di rifiatare, bensì imporle le sue condizioni a titolo definitivo. Quindi: oggi incamerare integralmente le quattro province ucraine che occupa solo in parte, inclusa la linea fortificata ucraina nel Donbas che impedisce ai russi di avanzare verso ovest, limitare per diktat la forza dell'esercito ucraino e costringere Zelensky a tenere elezioni con l'obiettivo di liberarsene. Domani attendere che l'Europa si frantumi, a partire dall'auspicata vittoria dei "patrioti" francesi nel '27, per spingerla d'intesa con Trump ad abbandonare Kyiv. A quel punto potrà partire la seconda fase della guerra, con l'obiettivo finale di trasformare l'Ucraina in una seconda Bielorussia.

4. E Zelensky, vuole davvero la pace?

A Kyiv sanno benissimo che Trump s'intende con Mosca e che Putin vuole solo la resa dell'Ucraina. Zelensky però ha imparato la lezione del 28 febbraio scorso, quando fu bullizzato da Trump e Vance alla Casa Bianca: sa che deve muoversi in un contesto diabolico, tenendo conto che l'ego di Trump è smisurato e che la sua ambizione è di apporre la sua firma sotto un trattato di pace quale che sia, per poi potersene vantare e rivendicare per sé quel Nobel per la Pace che tuttora non sopporta che sia stato attribuito a Barack Obama e non a lui. Deve dunque ringraziare Trump a ogni pié sospinto (peraltro in parte ancora a ragione, visto che senza l'intelligence Usa l'Ucraina sarebbe rovinata), ripetere che anche lui crede davvero che la pace sia dietro l'angolo e incontrare inviati americani come Steve Witkoff, la cui incompetenza e partigianeria pro Russia è pari solo alla determinazione con cui il suo compagno di missioni Jared Kushner genero di Trump persegue obiettivi di business con ampi risvolti privati nella Russia di Putin. Da tutto questo, Zelensky cerca di ottenere per l'Ucraina quanto basta per tirare avanti in attesa che anche Putin dimostri di non essere eterno. Fin qui, ha fatto un lavoro egregio.

5. Vedremo finalmente la pace nel 2026?

Verosimilmente no. Né Putin né Zelensky in realtà la vogliono. Putin vorrebbe la resa ucraina per via diplomatica, ma non la otterrà.

E Zelensky sa benissimo che la firma di Putin sotto qualsiasi trattato vale meno dei famosi "chiffons de papier" stracciati dai tedeschi nella prima guerra mondiale. Si continuerà a parlare di pace imminente e a combattere una guerra orrenda. L'unico interrogativo aperto riguarda Trump: cosa farà quando si stancherà di tutto questo non lo sa nessuno. Forse nemmeno lui.

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