Roma Galeotta fu la chiusura di Equitalia, la rottamazione delle cartelle e la voluntary sul contante. L'umore del ministro dell'economia, Pier Carlo Padoan, non sarebbe particolarmente frizzante in questi giorni. Al contrario, il titolare del dicastero di Via XX Settembre sarebbe preoccupato per il proprio destino post-governativo. Ove l'esperienza del ministro non tornasse utile per la guida di un governo tecnico o per un nuovo incarico, il principale desiderio sarebbe, secondo i rumor di Palazzo, ritornare all'Ocse, l'organizzazione parigina della quale è stato capo economista fino a febbraio 2014. Una legittima aspirazione: tutti i civil servant (o presunti tali) hanno sempre un posto disponibile nel quale ritornare una volta terminato la propria esperienza in politica. È accaduto a Carlo Cottarelli, commissario alla spending review immediatamente rientrato al Fondo monetario internazionale. È accaduto, per altri versi, al senatore a vita Mario Monti la cui «esperienza» in materia fiscale è nuovamente a disposizione della Commissione Ue.
Il problema per Padoan è che nel luglio scorso Fmi e Ocse resero noto il loro rapporto sul sistema fiscale italiano: l'evasione, secondo gli esperti, si può combattere solo stringendo le maglie e, soprattutto, rendendo le agenzie fiscali sempre più autonome. E Renzi che cosa ha fatto? L'esatto opposto. Ha rottamato le cartelle, varato un condono, chiuso Equitalia e impartito all'Agenzia delle Entrate il diktat «politico» di non spaventare, almeno sulla carta, i contribuenti. E si sa che tra Renzi e Padoan il più forte non è il secondo.
Che ora si cruccia di non aver tenuto fede a quel proposito di «mollare tutto per non infangare trent'anni di carriera» che gli sfuggì dopo l'ennesima «renzata» (forse gli 80 euro, forse l'abolizione dell'Imu). Ora, forse, è tardi.
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