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Padoan si arrende a Renzi: "L'Iva non salirà nel 2018"

L'ex premier insiste: "Quell'imposta non sarà toccata". Ma l'Fmi incalza: "Alzare le tasse su patrimoni e case"

Padoan si arrende a Renzi: "L'Iva non salirà nel 2018"

Altro che «opzione sostenuta da buone ragioni» come aveva dichiarato nell'intervista di domenica scorsa, «l'intendimento del governo nell'impostazione della prossima Legge di bilancio prevede di escludere l'aumento dell'Iva nel 2018, attuando una manovra alternativa». Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, in audizione al Senato sul Def, ha praticamente smentito se stesso.

La svolta rispetto all'ipotesi profilata solo pochi giorni fa (aumentare l'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto in cambio di un parziale taglio del cuneo fiscale) non può non interpretarsi come un cedimento alle pressioni dell'ex premier Matteo Renzi che in pubblico e, soprattutto, in privato ha manifestato la propria contrarietà a questa opzione. «No, l'Iva non si tocca e io dico che non si toccherà», ha detto il leader Pd a Matrix aggiungendo che «tutti gli anni abbiamo bloccato» le clausole di salvaguardia. E così come Padoan ha specificato che «resta confermata la volontà del governo di proseguire nel percorso di progressiva riduzione della pressione fiscale» anche Renzi ha dichiarato «basta con le tasse». Evidentemente il capo del governo Gentiloni e, di conseguenza, il ministro devono aver subodorato aria di crisi.

Al di là dell'annunciata pubblicazione per oggi del decreto sulla manovrina da 3,4 miliardi, c'è ancora da capire come farà il Tesoro a reperire i 19 miliardi necessari a evitare che l'Iva salga al 25% (e successivamente al 25,9). Se l'è chiesto pure Bankitalia nell'audizione sul Def. «Il contrasto dell'evasione fiscale e razionalizzazione della spesa - ha spiegato il vicedirettore generale di Bankitalia Luigi Federico Signorini - sono «obiettivi condivisibili e da considerare strategici» ma «la possibilità di reperire in questo modo risorse tanto ingenti e in così breve tempo non è sicura». A questo proposito «una riconsiderazione dell'ampio ventaglio delle aliquote Iva non dovrebbe essere esclusa». In particolare, ha aggiunto Signorini, «lo scambio tra un inasprimento dell'Iva e la riduzione del cuneo fiscale è una questione da approfondire» osservando che il Def «non fornisce informazioni esaurienti» sulla strategia delle privatizzazioni. Ancor più severo il giudizio dell'Ufficio parlamentare di Bilancio. «Il quadro programmatico è sostanzialmente indefinito», ha dichiarato il presidente Pisauro affermando che senza rialzo Iva «sarebbero necessarie misure correttive nette per 0,9 punti di Pil nel 2018 e 1,4 punti in ciascuno dei due anni successivi», cioè 63 miliardi in tre anni.

Insomma, è ancora tutto in alto mare e tanto Palazzo Chigi quanto Via XX Settembre sembrano poggiarsi, più per necessità che per convinzione, sul fideismo renziano circa la possibilità di contrattare con la Commissione Ue ulteriori margini di flessibilità anche per il 2018. Una ricetta l'ha suggerita l'Fmi, che a Bruxelles gode di maggior credibilità dell'Italia.

L'Italia «dovrebbe razionalizzare le sue relativamente ampie agevolazioni fiscali e creare una tassa moderna sulle proprietà immobiliari», scrive l'Fmi nel Fiscal monitor aggiungendo che «c'è spazio per un ulteriore miglioramento delle tasse sul benessere», cioè una patrimoniale.

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