L'autogol del premier: con le manette facili ora lui e il suocero rischierebbero la galera

Il padre della compagna di Giuseppi ha patteggiato una condanna per 2 milioni non versati. E il premier ha sanato un contenzioso da 50mila euro

L'autogol del premier: con le manette facili ora lui e il suocero rischierebbero la galera

Il premier traccia la strada, Vittorio Sgarbi gliela rende familiare come uno specchio: «Accompagni in carcere il suocero e la figlia Olivia che non poteva non sapere». Le norme sull'evasione fiscale sono un grande cantiere, il presidente del Consiglio dichiara guerra a chi sottrae risorse allo Stato, il celebre critico d'arte punta il dito: il burrone il capo del Governo ce l'ha quasi sotto i piedi.

Due in realtà le vicende che in qualche modo incrociano i destini di «Giuseppi» con le mille facce dell'erario. Capitoli non proprio esaltanti che mostrano, fra l'altro, con quanta attenzione si dovrebbero maneggiare temi cosi complessi e scivolosi in cui l'errore spesso confina con l'illecito, nodi che ora l'esecutivo vorrebbe sciogliere, criminalizzando comportamenti che finora erano lontani dai radar del codice.

La prima storia, per nulla edificante, riguarda dunque Cesare Paladino (nel tondo), padre dell'attuale compagna del premier, Olivia. L'imprenditore, titolare del Grand Hotel Plaza di Roma si sarebbe intascato per anni la tassa di soggiorno versata dai turisti ospitati nella sua sontuosa struttura. Risultato: un ammanco di 2 milioni per il Comune e una contestazione, pesantissima, per peculato, dunque non un nero in senso stretto ma molto peggio, chiusa con il patteggiamento di 1 anno e 2 mesi. Per la cronaca va detto che Olivia non è mai stata indagata, in ogni caso il padre ha concordato la condanna. Certo, Conte non è in alcun modo responsabile di quel che ha fatto Paladino, oltretutto i rapporti affettivi non sono mai stati formalizzati. Ma il caso, che pure esula dal perimetro del penale fiscale, aiuta a capire la diffusione, purtroppo, di atteggiamenti che devono trovare naturalmente una sanzione, ma non sempre e non solo con l'inasprimento delle pene, con anni e anni di carcere, con il tintinnare delle manette.

Non basta, perché nel passato di Conte, non nelle sue frequentazioni, c'è un altro episodio, raccontato a suo tempo dall'Espresso e da Libero, non proprio in linea con la predicazione del premier: due cartelle, una del 2009 e l'altra del 2011, per imposte e multe non versate. Il totale? Oltre 50mila euro. Il premier, che all'epoca era un professore sconosciuto all'opinione pubblica, si era dimenticato di saldare una serie di versamenti ed Equitalia aveva messo un'ipoteca sulla sua casa romana. L'anno scorso, quando ormai Conte era a un passo da Palazzo Chigi, il commercialista aveva cercato di ridimensionare il fatto alla voce contrattempo: «Il professore nel 2009 ha avuto una richiesta di documentazione inerente la sua dichiarazione dei redditi. L'agenzia ha mandato le comunicazioni via posta, ma il portiere non c'è. La cartolina è stata smarrita. Quando il contribuente non si presenta e non porta i giustificativi della dichiarazione, si iscrive al ruolo tutta l'Irpef sulla dichiarazione non presentata». Insomma, la solita maledetta combinazione di sfortuna e burocrazia. Il solito cocktail che avvelena i pozzi del benessere e spinge verso il declino buona parte del ceto medio, un tempo ancorato a un solido benessere. Capita. I giornali hanno dato poi altre letture, più maliziose, di quei debiti trascurati. Alla fine, Conte ha pagato e ha chiuso il contenzioso. E però, nel momento in cui il premier spinge per rivedere le leggi in chiave giustizialista, abbassando l'asticella che fa scattare l'illecito penale e premendo il pedale del carcere, è bene riflettere: certe politiche possono avere effetti disastrosi. Moltiplicano i processi, intasano i tribunali e non tolgono le piaghe. Il catalogo delle possibili sanzioni è molto ampio e basta saper scegliere quella giusta. Senza il faticoso corredo di proclami e grida manzoniane che rimbombano nel vuoto.

E che dovrebbero lasciare il posto ad un abbassamento del carico fiscale e a incentivi e premi per sfavorire l'evasione. Discorsi vecchi per manovre sempre più aggressive e muscolari. Sempre, salvo intese. E allora Sgarbi sferra il suo paradosso: Conte metta in carcere il quasi suocero. E cominci a controllare se stesso.

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