Da padrino a dottore in Legge: la tesi dell'ergastolano è sul 41 bis

Diversi omicidi sulle spalle e fine pena mai per Coco Trovato Ma si è messo a studiare dando gli esami in videoconferenza

Da padrino a dottore in Legge: la tesi dell'ergastolano è sul 41 bis

Una volta il suo nome faceva tremare. Adesso Franco Coco Trovato è un uomo ormai anziano, chiuso in un carcere di massima sicurezza e con la prospettiva di uscirne solo da morto. Degli ultimi venticinque anni, ventitrè li ha trascorsi al 41 bis, il regime di sorveglianza speciale riservato ai detenuti di alta pericolosità. Ci sono detenuti che dalla deprivazione costante vengono polverizzati. Lui, Franco Coco, sul 41 bis ci ha fatto la sua tesi di laurea. Il 20 ottobre è diventato dottore in Giurisprudenza, illustrando ai docenti - collegati con lui in videoconferenza dall'università di Perugia - la sua tesi in diritto penitenziario, tutta centrata sulle norme che da trentacinque anni sospendono una serie di diritti ai detenuti considerati una minaccia per la sicurezza dello Stato. Come lui.

Quando venne arrestato, nell'agosto 1992, il «41 bis» era entrato in vigore da appena due mesi: e da allora Franco Coco se lo è visto applicare, di proroga in proroga, quasi senza interruzioni, tolta una beve distrazione del ministero. Era accusato, e le sentenze lo hanno confermato, di fare parte del triumvirato della 'ndrangheta in Lombardia, che a partire dal 1990 aveva varato il piano di sterminio dei clan legati alla camorra: dopo che proprio lui, Coco, era stato vittima di un agguato, in cui erano rimasti invece uccisi due poveri passanti. Incastrato dalle indagini e dalle accuse dei pentiti, che lo indicavano come il più determinato nel decidere le esecuzioni dei rivali, è stato sommerso dagli ergastoli.

Come uno nelle sue condizioni trovi la voglia di mettersi a studiare, di prendersi prima il diploma e poi la laurea, è un po' un mistero dell'animo umano. É ben vero che il vecchio boss in questi anni ha avuto molto tempo libero, ma è altrettanto certo che per affrontare i ventiquattro esami che lo hanno portato a diventare il «dottor Coco» ha dovuto affrontare ostacoli che fanno sembrare inezie le sofferenze degli universitari qualunque. Basti pensare che il suo «contatto» con la facoltà erano i parenti, che può incontrare solo un'ora al mese: se saltava il colloquio, saltava anche l'iscrizione all'esame, il libro di testo non arrivava, la richiesta di dispense non partiva.

Tutti i suoi esami, li ha sostenuti in videoconferenza: prima dal reparto «Alta Sicurezza» di Terni, poi da quello di Rebibbia, in cui ha anche discusso la tesi. E tutto sfidando la connessione che andava e veniva, i professori che un po' capivano e un po' no, e che pare che qualche volta abbiano tagliato corto l'esame davanti alle difficoltà del dialogo via monitor. Lui si è districato, costante e cocciuto, nei meandri del diritto privato e del codice canonico, della procedura penale e della filosofia del diritto. Chi glielo ha fatto fare? «Di sicuro non lo ha fatto per ingannare il tempo», dice l'avvocato Marcello Perillo, che ogni tanto gli parla al telefono (ma per chiamarlo in carcere deve andare in un altro carcere: anche questo è previsto dalla massima sicurezza).

«Credo - dice Perillo - che il vero obiettivo fosse capire meglio la situazione in cui si trova», soprattutto per quell'articolo, «41bis», che lo accompagna da ventitrè anni, e di cui l'anno scorso ha chiesto alla Corte europea dei diritti dell'uomo di dichiarare la inumanità: soprattutto quando, come nel suo caso, viene applicato praticamente in eterno.

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