A dolf Hitler, sulla patente però c'è scritto Adolfo, è vivo anche se non lotta insieme a noi. Ha settantasette anni, ha fatto il giudice per tutta la vita, somiglia più a Mao che al Fuhrer e non è di Branau am Inn, ma di Chone, un paesino dell'Ecuador nord occidentale di ventimila abitanti che ha un'anagrafe che sembra scritta da alcolisti anonimi. Hitler, senza Adolfo ma Corral di cognome, è il meccanico del paese, poco più in là, c'è tutta la famiglia di Hitler Fluver Saldarreaga, che ha battezzato i suoi figli Hitler Leonardo, Hitler Stalin e Hitler Humberto, nonno di Hitler Anibal. Un altro Hitler è morto sette anni fa. Aveva i baffi.
Più che una succursale del Terzo Reich Chone è la capitale mondiale dei nomi assurdi. Se ti fai un giro in paese puoi trovare Frank Sinatra Suarez e Alì Babà Cardenas, Burger King Herrera a John Kennedy Suarez (pure lui), Land Rover Garcia e Vicks Vaporup Giler, Puro Whisky Zambrano e Alka Seltzer de Valgas. Alle donne va anche peggio: se Biancaneve Bague può anche essere un nome fiabesco cosa dire della sempre nervosa signorina Conflicto International Loor o dell'eternamente su di giri Perfetta Heroina? Chone è famosa per essere, dicono i chonesi, «la città delle belle donne e degli uomini responsabili». A naso garantiremmo solo sulla prima delle due.
In Brasile, serie B di calcio, c'è una squadra, l'Atletico Goianiense, che fino a due anni fa aveva nomi in squadra che neanche il Real Madrid ha mai vantato: il terzino destro era John Lennon, il mediano Mahatma Gandhi e il centravanti Michael Jackson. Li ha venduti tutti e tre. Anche conquesti in squadra non erano riusciti a farsi un nome.
É vero che i nomi, soprattutto quelli senza senso, sono figli del tempo che li ha partoriti. Ma anche la fantasia italiana nei secoli dei secoli he messo al mondo battesimi sventurati che fanno impallidire Chone. A dispetto della Chiesa, che per dare un limite, pretese che ai pargoli fosse imposto solo il nome dei santi, la Romagna, anarchica e mangiapreti, partorì bambini che si chiamavano Ribello, Ateo, Collettivo e Molotov. Un contadino di Sinalunga, in Toscana, impose ai suoi tre figli maschi, sicuro evidentemente di metterli al mondo, i nomi di Rivo, Luzio e Nario. Un operaio socialista di Rimini che papà aveva chiamato Sciopero (forse perché a Roma c'è un Esubero) battezzò i suoi tre Scintilla, Ordigno e Avanti. Il patriottismo rispose in armi: a Cesena c'era un signor Pantheon, ad Ancona un Irredento, a Forlì una Guerramondiale. dappertutto un Firmato Cadorna.
A Bologna, negli anni Settanta, c'era un Gesù e un Gesù Nazzareno. Evitavano accuratamente di incrociarsi con i due Erode che vivevano nella stessa città. C'era una sola Patria, ma 174 Italia, un Risorgimento e nessuna Resistenza (Primomaggio si, però), gli Engels erano due maschi e una femmina, a Libertario e Scioperina rispondevano Litania e Confessione. Il più sfortunato era Eja Eja Alalà. Ma a Forlì abitavano i fratelli Salito e Disceso, a Ferrara Holmes e Uotzon (scritto proprio così).
Oggi, per non essere da meno, brillano Chanel (la figlia di Totti), Apple (quella di Gwyneth Paltrow), Lourdes (quella di Madonna) Summer Rain, pioggia estiva, e Blu Ivy, edera blu.
Fortuna che al signor Herbert Dengler, americano del Minnesota, fu respinta la richiesta di ribattezzarsi 1069, sennò sarebbero diventate di moda le tabelline. Una sola si è salvata da questo cataclismo anagrafico pur facendone parte. Il nome? Innominata.
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