RomaSi può operare in un contesto di competizione spietata, come quello delle grandi commesse internazionali senza tenere conto di «regole» e richieste che si incontrano su quel terreno di gioco? La domanda ricorre ogni volta che una inchiesta - l'ultima quella per la presunta tangente che sarebbe stata pagata da Eni per la concessione di un giacimento petrolifero in Nigeria - rischia di penalizzare l'interesse nazionale e far correre i nostri (pochi) attori internazionali rimasti con le mani legate. Un quesito complesso su cui Giuseppe Mazzei, giornalista, già responsabile rapporti istituzionali della Rai, poi ad Allianz e oggi presidente de «Il Chiostro - Per la trasparenza delle lobby», la prima associazione di lobbisti italiani, ha le idee chiare.
Presidente Mazzei, cosa pensa dell'inchiesta su Eni?
«Non posso ovviamente entrare nel merito, ma è evidente che rispetto a vicende di questo tipo bisogna operare alcune distinzioni. Una grande azienda ha tutto il diritto di esercitare la propria influenza sulle autorità pubbliche di un altro Paese per raggiungere il proprio obiettivo, è ciò che fanno tutti i concorrenti».
Dove si configura la corruzione?
«Quando si paga indebitamente un pubblico ufficiale. Ma se la controparte si serve di intermediari e ciò viene fatturato e compreso nel costo dell'operazione l'attività è assolutamente lecita e normale».
Qualcuno potrebbe pensare che si voglia far passare la logica del fine giustifica i mezzi. Altri, al contrario, che indagini di questo tipo equivalgano a dire a Eni di smetterla di operare all'estero.
«Il problema di fondo è che in Italia non c'è una cultura del lobbismo. Io stesso mi sono confrontato con autorevoli magistrati e a volte ho trovate idee un po' confuse. Vedono il male laddove non c'è. La stessa Legge Severino nella sua prima dizione sul traffico di influenze illecite equivaleva a una sorta di tutti in galera, poi per fortuna è stata modificata».
La nostra legislazione è più stringente rispetto a quella dei paesi concorrenti?
«Non è tanto questione di legislazione, ma di interpretazione. Altri Paesi sono più attenti nell'applicazione delle norme, nella consapevolezza che si rischia di danneggiare il Paese. Poi è evidente che bisogna distinguere se, ad esempio, ci sono pagamenti di ritorno che vanno a vantaggio di dirigenti dell'azienda. In quel caso il reato è evidente, punto».
In Italia esiste un pregiudizio sfavorevole verso tutto ciò che è intermediazione?
«Sì, è così. L'impostazione di fondo è che se c'è una trattativa allora sotto deve esserci qualcosa di illecito. Bisognerebbe ribaltare questo approccio. E partire dalla convinzione che l'intermediazione è lecita, salvo prova del contrario».
Per cambiare questa percezione negativa il governo potrebbe fare qualcosa?
«Il governo aveva promesso di regolamentare entro giugno il settore del lobbismo.
Servono regole, una certificazione delle professionalità, limitazioni al meccanismo delle porte girevoli che fa sì che chi lavora in un ministero allo scadere dell'incarico passi a occuparsi di intermediazione. Bisogna fugare le ombre. E mettere da parte un pregiudizio dannoso per il Paese».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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