A Palermo cala il sipario sul processo Stato-mafia

A Palermo cala il sipario sul processo Stato-mafia

Trattativa Stato-mafia, ultimo atto. Calerà in settimana il sipario sul processo dei processi della procura di Palermo, quello su cui una certa antimafia si gioca tutto.

I giudici sono entrati ieri in camera di consiglio, la sentenza arriverà in settimana. E comunque vada, si chiude un'era. L'era delle istituzioni alla sbarra accanto ai boss, la peculiarità di questo processo cominciato cinque anni fa. L'era dello scontro frontale tra i pm e le massime cariche istituzionali, vedi lo guerra pm-Quirinale per le intercettazioni tra l'allora capo dello Stato Giorgio Napolitano e l'ex presidente del Senato Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza.

Ne è passata di acqua sotto i ponti rispetto ai primi anni '90, l'inizio di tutto. Antonio Ingroia, l'ideatore del teorema giudiziario sulla trattativa dello Stato con i boss per fermare l'onda stragista dei primi anni '90, non è più pm, anzi è un indagato. Il suo erede, il pm Nino Di Matteo, ha traslocato alla Dna a Roma, e i grillini (vedi l'ovazione di Ivrea) lo vorrebbero ministro di Giustizia. I principali imputati boss, Bernardo Provenzano e Totò Riina, sono morti. E poi ci sono le sentenze. Quelle di assoluzione, che hanno smantellato l'impianto accusatorio: quella, per stralcio, dell'ex ministro Calogero Mannino; e quella del generale Mario Mori, per la mancata cattura di Provenzano.

E le sentenze di condanna, come quelle che hanno sbugiardato il testimone chiave, Massimo Ciancimino. Per lui chiesti 5 anni, una carezza. Non così per Mori (15 anni) e per Marcello Dell'Utri, per il quale è stata chiesta la condanna a 12 anni.

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