Il drappo nero dello Stato Islamico sventola inquietante sulla rocca di Palmira, la città archeologica siriana caduta nelle mani dei guerriglieri del Califfato. Con la solita teatralità Al Baghdadi ha scelto i social, in questo caso twitter, per mostrare al mondo le foto della vittoria sui lealisti di Bashir Al Assad. Dopo tre giorni di combattimenti Palmira è caduta. «La cittadella di Tadmur è sotto il controllo del Califfato», recita la didascalia che correda la foto. In realtà non si scorge una sola immagine, ma un vero e proprio album. In altri fotogrammi compaiono guerriglieri intenti a rastrellamenti casa per casa in caccia di soldati superstiti, oppure all'abbattimento di ritratti del presidente Al Assad e di suo padre Hafiz. Da venerdì pomeriggio i jihadisti si sono chiusi dentro al museo, ma al momento non arrivano notizie di danneggiamento di reperti dopo i recenti scempi d'arte compiuti a Ninive e a Nimrod.
Sul fronte siriano la situazione è allarmante, ma anche in Iraq si sta assistendo nelle ultime ore a una preoccupante avanzata del Califfato. Se da una parte l'offensiva dell'esercito iracheno e delle milizie sciite per riconquistare Ramadi prosegue con discreti successi, è altrettanto vero che uomini di Al Baghdadi stanno guadagnano terreno verso Falluja e attualmente si troverebbero a soli 75 chilometri da Baghdad. Mai prima d'ora il cuore politico ed economico dell'Iraq era stato minacciato così da vicino. Le autorità irachene stanno correndo ai ripari come possono, arrivando persino a bloccare l'accesso al ponte chiave di Bzebiz per impedire alle oltre 40mila persone in fuga di raggiungere la capitale. I militari temono che tra i civili si possano mescolare terroristi che riuscirebbero così ad infiltrarsi a Baghdad. Così facendo però il governo iracheno sta condannando parecchi innocenti a una fine atroce. «In questo momento non c'è miglior cosa che blindare la città. Costi quel che costi», ha spiegato il ministro degli Interni Mohammed Al Ghabban.
Al Baghdadi gioca come suo solito su più tavoli e per la propaganda torna ad affidarsi alla voce del giornalista britannico John Cantlie, ostaggio «convertito» dei jihadisti. Il reporter si è rifatto vivo dopo un silenzio di 3 mesi e dalle colonne di «Dabiq», la rivista dello Stato islamico, predice un prossimo attacco di dimensioni catastrofiche contro gli Usa. «Tutto questo avverrà - rivela Cantlie - con un ordigno nucleare importato dal Pakistan o con qualche tonnellata di esplosivo». Il «buon esito» della campagna militare in Siria e Iraq galvanizza anche la cellula libica che, secondo indiscrezioni della stampa araba, avrebbe ormai i mezzi e gli uomini per mettere le mani su Tripoli. Nel frattempo i terroristi hanno rapito un medico della Corea del Nord a Nawfaliyah.
Sulla questione libica è intervenuto ieri l'inviato speciale dell'Onu, Bernardino Leon, parlando ad una conferenza regionale del World Economic Forum ad Amman, in Giordania. Secondo il diplomatico spagnolo, che sta mediando tra il governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello creato da milizie islamiche a Tripoli, l'Isis disporrebbe di 2mila uomini nella sola area della capitale. «In pochi mesi questa crescita può diventare una minaccia molto seria per la Libia e il Mediterraneo», ha detto. Il «fascino» di Al Baghdadi sta seducendo la vicina Tunisia: circa 700 donne si sarebbero infatti unite alle fila dell'Isis negli ultimi mesi. I ruoli ad esse assegnati sono di collaborazione, arruolamento oltre che di partecipazione attiva agli attacchi.
In Egitto inoltre la cellula Ansar Beit El Maqdes divenuta «Stato del Sinai» nell'ambito dell'alleanza con Isis, ha rapito altre tre persone, portando a dieci gli ostaggi nelle sue mani, con il solito corollario di minacce ai siti turistici del Mar Rosso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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