L 'appuntamento decisivo è questa mattina, al Senato, attorno al «tavolo» di maggioranza convocato dal relatore leghista Ostellari per cercare l'ultima mediazione prima dell'approdo in aula del testo.
Il copione però è già scritto: il Pd dirà «no» a qualsiasi modifica, e in particolare agli emendamenti «soft» di Italia viva (cui apre Salvini avvertendo il Pd: «Se la legge sarà affossata, la colpa è vostra»)), e chiederà insieme a M5s di mandare il testo all'esame dell'assemblea e votarlo così com'è. E dal 13 luglio inizierà la roulette russa dei voti segreti. A Palazzo Madama nessuno scommette un euro sulla possibilità che il testo sopravviva indenne: «L'ipotesi più probabile - ragiona nel Pd chi conosce meglio le dinamiche dell'aula - è che gli emendamenti renziani passino con il voto del centrodestra e dei franchi tiratori dem e grillini, minimo una dozzina». Il centrodestra otterrà l'allungamento dei tempi, con il ritorno del ddl alla Camera dopo le modifiche. Italia viva si potrà intestare i suoi cambiamenti, rivendicando di aver allargato la possibile base parlamentare del testo anti-omotransfobia. Il Pd non otterrà nulla, se non la soddisfazione di aver dimostrato la propria intransigenza e di additare Matteo Renzi come capro espiatorio.
E infatti, tra i dem, il disagio è molto forte. A dargli voce, ieri, è stato un dirigente di rilievo come Stefano Bonaccini, governatore dell'Emilia Romagna: «Occorre fare di tutto per avere la maggioranza necessaria ad approvare il ddl Zan - dice - non so se sarà approvato integralmente, o con qualche necessario correttivo. So che l'importante è trovare i numeri per farlo passare». Un segnale chiaro, rivolto ad un Nazareno ostaggio degli «intransigenti», per invitarli ad aprire alle modifiche «necessarie».
Tra i senatori il malessere è diffuso, nell'ala cattolica come in quella più vicina alle critiche femministe alla contestata «identità di genere». In molti, ieri, hanno chiesto alla capogruppo del Senato Simona Malpezzi un incontro a breve con il segretario Letta, per provare a convincerlo ad una mediazione in extremis. Il Pd, ufficialmente, si scaglia contro Renzi accusandolo di «inciuci» con la Lega, ma anche una paladina dei diritti al di sopra di ogni sospetto, come Emma Bonino, avverte: «Chi fa i calcoli deve essere molto sicuro dei voti, tenendo conto che M5s è diviso in vari tronconi. Allungare il percorso del ddl Zan non sarebbe una cosa perfetta, ma sarebbe ancor peggio se la legge venisse bocciata». E nel Pd c'è chi denuncia il «tradimento di un patto che era stato sottoscritto alla Camera». Raccontano infatti diversi deputati del Pd che nell'autunno del 2020, quando il ddl Zan era all'esame di Montecitorio, il capogruppo Delrio e il relatore Bazoli, per vincere le resistenze interne al voto del testo, promisero una messa a punto nella seconda lettura a Palazzo Madama, dove i numeri incerti della maggioranza già facevano intuire la difficoltà di arrivare al varo del provvedimento. «Di fronte alle nostre obiezioni su alcuni punti, come quello della identità di genere - racconta una deputata dem - ci dissero: intanto approviamolo così com'è, poi a Palazzo Madama cercheremo una sintesi sui punti più controversi, in modo da allargare la maggioranza».
Promessa non mantenuta: «Così stanno regalando a Matteo Renzi, che si è abilmente inserito nel varco lasciato aperto, non solo il merito di trascinare il centrodestra al sì su una legge anti-omotransfobia, ma anche quello di rappresentare le sensibilità cattoliche e quelle delle donne dem», conclude la parlamentare.
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