Afghanistan in fiamme

Paura sul C-130 italiano dopo gli spari al decollo. Ma l'Aeronautica: "Non è stato colpito"

Costretti a una manovra evasiva i piloti di uno degli aerei della 46esima Brigata di Pisa impegnati nel ponte aereo. Fonti di intelligence: "Colpi per disperdere la folla"

Paura sul C-130 italiano dopo gli spari al decollo. Ma l'Aeronautica: "Non è stato colpito"

Kabul. È un attimo, non hai neanche il tempo di pensare e l'aereo va giù, quasi risucchiato nel vuoto. Poi riprende quota e poi di nuovo un balzo verso il basso che fa fare agli afghani, seduti sul pavimento del C-130J, un salto di due metri verso il soffitto del mezzo. Si sentono grida disperate, bambini che piangono. Le montagne di fronte sembrano drammaticamente vicine. Poi, con una manovra improvvisa, il velivolo risale. Ieri i talebani hanno diffuso la paura anche a bordo di uno degli aerei della 46esima Brigata aerea di Pisa impegnato nel ponte aereo da Kabul al Kuwait. Nel giorno del doppio attentato all'aeroporto di Kabul, in una nota l'Aeronautica precisa: «Nessun colpo di arma da fuoco ha interessato il C-130J». Fonti di intelligence hanno riferito all'Ansa che potrebbe essersi trattato di una mitragliatrice afghana, che ha sparato in aria per disperdere la folla in attesa snervante di oltrepassare il gate.

Sono stati la bravura e il sangue freddo dei piloti Annamaria Tribuna, Francesco Vergani e Riccardo Russo, addestrati a questo tipo di situazioni, a evitare pericoli e feriti. Hanno messo in atto ber ben due volte una manovra evasiva, per proteggere velivolo e passeggeri. «Come previsto dalle procedure operative e di addestramento, nell'osservare colpi di arma da fuoco provenienti da terra e diretti verso l'alto, visibili come traccianti», ha spiegato ancora l'Aeronautica. E il personale di bordo con grande professionalità ha cercato di rasserenare gli animi.

L'aeroporto intitolato a Karzai non è più quello di un tempo, quando aerei di ogni tipo atterravano nella capitale. Adesso per terra un ammasso di bottiglie vuote e sporcizia, un campo profughi con ripari di fortuna a cielo aperto, disperati in attesa di partire. La parte gestita dagli italiani è la più organizzata, con famiglie che dormono su vecchi materassi e cartoni, ma al coperto, dentro un hangar, guardati a vista dai militari della Folgore, ci sono anche 16 carabinieri del Tuscania. «Tra i bambini - ci raccontano - c'è stata un'epidemia di varicella. Purtroppo molti sono malati. Sperano di venire in Italia anche per guarire. Il Covid? I casi non sono molti, ma qui nessuno ha le mascherine».

I controlli di sicurezza avvengono puntualmente. Si guarda soprattutto agli uomini singoli. Per ora nessun malintenzionato, talebano o presunto terrorista è passato dai gate per essere portato in Italia, ma il rischio infiltrazioni è tangibile.

Sull'aereo verso l'Italia un centinaio di persone, donne e bambini. Due sorelle adolescenti si tengono per mano. La mamma: «Siamo stanchi, ma felici, ci siamo guadagnati la libertà. Abbiamo lottato per giorni e visto cadaveri».

La data dell'addio definitivo all'Afghanistan, d'altronde, si avvicina. Si parla già della giornata di domani, al massimo dopodomani. Il tempo è scaduto, i rischi sono troppo alti. Uomini e donne in divisa da giorni mangiano solo razioni k, il cibo scarseggia e anche il sonno. Ormai uscire dall'aeroporto è impossibile anche per i militari, con i talebani che hanno messo numerosi check point, circondano lo scalo e sparano a chiunque provi a entrare. Giorni fa una collaboratrice afghana del contingente italiano è stata colpita di striscio a una gamba da un proiettile sparato da fuori. È stata evacuata per essere curata.

Il tempo è scaduto ma l'imperativo resta salvare gente fino all'ultimo. Dalla sala operativa allestita dagli italiani ci si coordina senza sosta con il Covi (comando operativo di vertice interforze), guidato dal generale Luciano Portolano. Anche a Roma l'impegno è massimo, con il ministro della Difesa Lorenzo Guerini che segue costantemente le operazioni.

Ma in tanti non riusciranno più a partire.

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