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Il Pd ammicca ai grillini: Zingaretti pronto all'aiuto sul salva-Raggi

Il segretario dem: "Nessuna preclusione". Moine pure su caso Siri e conflitto d'interessi

Il Pd ammicca ai grillini: Zingaretti pronto all'aiuto sul salva-Raggi

«Nessuna preclusione». Il leader del Pd, Nicola Zingaretti, sembra intenzionato a dare una mano ai Cinque stelle per aggirare il veto salviniano sul Salva Roma, e a ripristinare il provvedimento destinato a sollevare la Capitale dal suo fardello di debiti e a salvare - più che Roma - il deretano della sindaca grillina più importante.

Certo, sul Salva Roma bloccato dalla Lega le aperture erano arrivate fin dall'inizio e da tutte le diverse anime del Pd. E le parole di Zingaretti sono caute: «Dobbiamo prima vedere il testo e leggere nel merito cosa prevede, ma senza nessuna preclusione». E però si tratta dell'ennesimo segnale di un certo confuso movimento di confine tra il Partito democratico zingarettiano e i Cinque stelle.

Non si tratta solo del legittimo gioco tattico che punta a insinuare un cuneo tra i due alleati di governo per indebolirli entrambi: dietro c'è una sorta di irreprimibile fascinazione verso i grillini che corre nelle vene della sinistra: ricordate l'allora aspirante premier Bersani, ipnotizzato in streaming dalla pitonessa Roberta Lombardi? Una specie di richiamo della foresta, alimentato dalla stampa di riferimento come Repubblica e dal rimontante attivismo politico delle Procure. Del resto il becero giustizialismo grillino è diretta filiazione del tardo Berlinguer della «questione morale».

Non a caso il Pd ha seguito a ruota i M5s sul caso Siri, presentando mozioni di sfiducia al sottosegretario e plaudendo al premier Conte quando ne ha chiesto le dimissioni. E Zingaretti ha imposto le dimissioni anche alla presidente di Regione del suo partito, l'umbra Catiuscia Marini, al primo stormir di avviso di garanzia. Quando poi è arrivata l'improvvisa (e alquanto ridicola) conversione di Gigino Di Maio alla lotta partigiana e all'antifascismo militante, i dem sono stati folgorati. Si son bevuti anche la Virginia Raggi pro-Rom di Casalbruciato (subito bacchettata da Di Maio), come se non avessero ancora capito che il partito della Casaleggio fa recitare copioni diversi ai suoi in base a puri algoritmi elettorali. Insomma, sembrano cotti a puntino per essere usati dal Movimento cinque stelle come utile «secondo forno», da sventolare sotto il naso di Salvini, per eccitarne la libido e rafforzare l'intesa di governo. Ecco allora che Di Maio fa il geloso col partner («Hai telefonato a Berlusconi prima che a me») e adesca Zingaretti: «Vogliamo fare una legge sul conflitto di interessi, lo dico al Pd», che naturalmente non chiude la porta. E i leghisti sono convinti che i grillini giocheranno di sponda con i dem in Parlamento, quando arriveranno in aula il decreto «crescita» e lo «sblocca cantieri», se mai la maggioranza riuscisse a partorirli.

Sul reddito di cittadinanza, il segretario Pd ha detto chiaro e tondo che non si sognerebbe di abolirlo (mentre leverebbe di mezzo più volentieri il Jobs Act di Renzi). Sul salario minimo, che non esiste in nessun paese dove - come in Italia - sia in vigore il contratto nazionale di lavoro, l'intesa tra dem e grillini è quasi perfetta, e si inseguono a vicenda. Quanto alla tassa patrimoniale, per Zingaretti «non è un'idea bislacca». Nel suo libro appena uscito, e intitolato «Piazza Grande», il leader Pd si dice certo che «la crisi di M5s ci interroga, e a certe condizioni rappresenta un'occasione».

Un'occasione soprattutto per i grillini, par di capire.

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