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Il Pd e la "spazzacorrotti": l'aveva bocciata, ora la sposa

I dem avevano definito la legge «illiberale» ma adesso il loro governo la difende davanti la Corte costituzionale

Il Pd e la "spazzacorrotti": l'aveva bocciata, ora la sposa

C i sarebbe da alzarsi ed applaudire: «Un provvedimento profondamente antidemocratico e illiberale... un prezzo mostruoso in termini di garanzie, diritti, spazi di libertà imposto per la presunta lotta alla corruzione...». Era il 13 dicembre 2018 quando nell'aula del Senato il Partito democratico, per bocca di Valeria Valente, stroncava così il decreto legge «spazzacorrotti», annunciando il voto contrario alla «scandalosa e imbarazzante fiducia» imposta dal governo Conte 1.

Sono passati tredici mesi, il Pd è al governo. E la legge voluta dai grillini che allora fece dire alla Valente «questa non è più giustizia ma arbitrio» non è più così indigeribile. Al punto che il Pd accetta senza colpo ferire la difesa d'ufficio che della legge ha deciso di fare il premier Giuseppe Conte. La legge, dicono in molti è incostituzionale. Martedì prossimo la Corte costituzionale dovrà per la prima volta giudicarne la legittimità. E il governo Conte 2 ha dato incarico all'Avvocatura dello Stato di battersi davanti alla Consulta per difendere la legge così com'è.

Eppure in discussione c'è uno degli articoli più grotteschi della legge, quello che tratta i condannati per tangenti come i mafiosi e i terroristi, vietando qualunque beneficio carcerario. È la prima volta che la «spazzacorrotti» arriva all'esame della Corte, visto che l'altra misura-simbolo, ovvero l'abolizione della prescrizione, farà sentire i suoi effetti concreti solo tra qualche anno. Invece l'equazione tra tangentari e narcotrafficanti è già operativa. Anzi viene applicata anche all'indietro, a reati e sentenze precedenti alla entrata in vigore della legge. Imputati che avevano patteggiato la pena contando sull'affidamento ai servizi sociali si vedono portati in carcere.

Proprio questa retroattività è all'esame della Consulta l'11 febbraio. A trasmettere gli atti a Roma è stato il tribunale di Venezia, che ha fatto proprie le tesi del difensore di Antonio Bertoncello, un geometra arrestato nel 2011 accusato di avere distribuito tangenti a funzionari comunali. Bertoncello, che aveva confessato e risarcito, contava di scontare in affidamento i tre anni di pena residua. Ma addosso gli era piombata la spazzacorrotti.

Il suo avvocato, Tommaso Bortoluzzi, aveva sollevato la questione di costituzionalità. E i giudici di Venezia mostrano di condividerla: la legge voluta dai grillini «cambiando le carte in tavola - scrivono - ha trasformato radicalmente la risposta sanzionatoria» ai reati: e questo non si può applicare all'indietro.

Il governo giallorosso poteva restare neutrale, lasciare che - di fronte alla delicatezza della questione - fosse la Corte costituzionale a sbrogliare la matassa. Invece l'Avvocatura dello Stato ha deciso di schierarsi in giudizio, prendendo risolutamente le difese della «spazzacorrotti». Non è stata una scelta autonoma, ovviamente. A dare ordine all'Avvocatura di intervenire è stato direttamente Palazzo Chigi, con una determina firmata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro.

Chi è Fraccaro? Un grillino, considerato assai vicino al ministro della Giustizia Bonafede. Che sia personalmente un fan della legge firmata proprio da Bonafede non stupisce. Ma la sua determina non è stata certo una sua iniziativa: perché impegna il premier e il governo nella sua interezza.

Compreso il Pd che tredici mesi fa diceva che quella legge «mina i fondamentali di uno Stato di diritto e di una cultura giuridica che tutto il mondo ci invidia».

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