
Alla fine non c’è stato nemmeno bisogno del temutissimo spareggio per decidere chi vestirà per la prossima stagione lo scudetto sulla maglia. Come prevedibile, l’ha spuntata il Napoli di Antonio Conte che, due anni e 19 giorni il trionfo dell’undici di Spalletti, si laurea campione d’Italia per la quarta volta. Ci sarà tutta l’estate per discutere se sia stato merito dei partenopei o demerito di un Inter distratta dalla cavalcata in Champions: ora è il momento di celebrare l’impresa dei campani che sono riusciti a trionfare nonostante una partenza da dimenticare spuntandola in un duello di nervi lunghissimo contro i campioni in carica. Prima della gran festa che Napoli riserverà ai suoi eroi, ripercorriamo i momenti chiave di questa stagione, gli alti, i bassi, i giocatori determinanti e come Conte sia riuscito ancora una volta a vincere al primo tentativo.
Un cammino non perfetto
Nonostante il mercato non entusiasmante e qualche polemica di troppo in estate, l’inizio della stagione del Napoli non lasciava presagire niente di buono. Il 10 agosto, nella poco amata prima uscita in Coppa Italia, l’undici di Antonio Conte rischia l’umiliazione assoluta, riuscendo a piegare 4-3 un coriaceo Modena. Il debutto in campionato, se possibile, è ancora peggiore: al Bentegodi, infatti, il Napoli viene travolto 3-0 dall’Hellas Verona, scatenando polemiche su polemiche ai piedi del Vesuvio. È proprio nel momento più difficile che si inizia ad intuire come l’influenza di Conte abbia cambiato questo gruppo, uscito con le ossa rotte da una stagione disastrosa. Invece di squagliarsi come neve al sole, il Napoli torna spietato ed infila una serie di vittorie una più bella dell’altra. Quel Bologna che avrebbe vissuto un campionato sopra le righe è steso 3-0, il Cagliari che ha provato a rovinare la festa scudetto viene travolto 4-0 alla Unipol Domus: anche il pareggio a reti bianche allo Stadium viene superato di slancio, prima di rifilare una manita al Palermo in Coppa Italia.

Non è il Napoli spettacolare di Spalletti ma le vittorie continuano ad arrivare, anche con qualche 1-0 di troppo. La prima svolta della stagione sembra arrivare il 29 ottobre, quando i campani si liberano del Milan di Fonseca a San Siro per 2-0 ma, invece di dare il via ad una striscia positiva, è l’inizio della mini-crisi di novembre. La pesante sconfitta rimediata al Maradona contro l’Atalanta viene seguita dal pari a San Siro con l’Inter e dalla vittoria risicata su una Roma quasi in zona retrocessione. Qualcosa non funziona nel gruppo: Kvaratskhelia, invece di essere il solito trascinatore, sembra quasi svogliato, distratto dalle tante voci di mercato. Dicembre, invece di rimettere in rotta la barca partenopea, complica ulteriormente la situazione: a scuotere l’ambiente il doppio tonfo contro la Lazio nel giro di tre giorni che costa la Coppa Italia ai campani e uno stop inatteso in campionato. Ancora una volta, però, ecco che il carattere “contiano” del Napoli riemerge, prima al Friuli con una vittoria convincente contro l’Udinese, poi a Marassi, con un 2-1 faticoso contro il Genoa. L’inizio del nuovo anno è poi segnato dal trionfo al Franchi contro la Fiorentina di Palladino: un 3-0 che non ammette repliche e conferma come chiunque voglia cucirsi lo scudetto sul petto dovrà vedersela con la banda di Conte.

Che fatica questo scudetto!
Il cammino verso lo scudetto sembra definirsi nel resto del mese di gennaio, nel quale i partenopei si vendicano prima di Verona ed Atalanta, poi regolano 2-1 la Juventus nonostante il doloroso addio di Kvaradona, passato a suon di milioni al Psg. Proprio quando la critica sembra concordare sulle qualità di questa squadra, il giocattolo torna ad incepparsi, riaprendo di colpo la corsa scudetto. Il mese di febbraio è da incubo, un rallentamento tanto netto quanto inaspettato, specialmente visto che i campani non hanno le coppe da giocare. La Roma di Ranieri strappa un pareggio all’Olimpico, imitata due settimane dopo dalla Lazio ma il peggio deve ancora arrivare: il 23 febbraio, il lunch match al Sinigaglia vede l’undici di Conte uscire con le ossa rotte dal confronto con la banda di Cesc Fabregas. Il sospetto che gli azzurri avessero la testa al big match del 1 marzo contro l’Inter è molto concreto: il Napoli riesce a strappare un pari ai nerazzurri, per poi riprendere la corsa scudetto regolando 2-1 la Fiorentina. Non tutto, però, è risolto: le dichiarazioni di Conte in conferenza stampa fanno intuire che non sia tutto rose e fiori, cosa che viene ampiamente confermata dalla prestazione inguardabile del Napoli al Penzo: uno 0-0 che grida vendetta al cielo.

I campani si riprendono dopo la pausa nazionali battendo 2-1 un Milan sconclusionato ma l’ambiente non è certo tranquillo. L’Inter non è perfetta come l’anno scorso, con la testa chiaramente agli scontri di Champions contro corazzate come Bayern Monaco e Barcellona ma il Napoli riesce comunque ad approfittare delle disattenzioni dei nerazzurri grazie ad un calendario ampiamente favorevole. Se il pareggio al Dall’Ara non è da buttare, considerato come il Bologna si stia battendo col coltello tra i denti per tornare in Champions, le vittorie con Empoli, Monza e Torino sembrano quasi il minimo sindacale. Il problema è che, nonostante tutto, l’Inter è sempre lì, a distanza di pochi punti, pronta a riprendersi la testa della classifica. Quando si arriva al momento della verità, il Napoli sembra stanco, appannato ed incapace di dare la spallata giusta per chiudere i conti in anticipo. La sofferta vittoria al Via del Mare è il preludio a due pareggi che fanno passare serate da incubo ai tifosi partenopei: il 2-2 contro un Genoa salvo da un pezzo è forse più grave del pari al Tardini, dove il Parma si sta battendo per rimanere in Serie A. Alla fine, però, il Napoli ha il destino in mano e riesce finalmente ad evitare lo spauracchio dello spareggio, regolando un Cagliari con la pancia piena. Nonostante le mille occasioni sprecate, il quarto scudetto è arrivato lo stesso.

Scott-Romelu, la coppia d’oro
Anche se non entusiasmante come la cavalcata dell’undici di Spalletti, il quarto scudetto sarà sicuramente festeggiato con enorme sollievo dalla tifoseria partenopea, che per quasi tutta la stagione ha temuto che la macchina messa a punto da Conte fosse sul punto di implodere. Se il terzo scudetto era stato il trionfo delle individualità, dal funambolico Kvaratskhelia al cecchino Osimhen, questa vittoria si è basata sulla solita ricetta del tecnico pugliese: gioco corale, tanto sacrificio da parte di tutti ed un’identità tattica ben precisa, senza troppe sperimentazioni. Anche se la cosa non farà impazzire Conte, impossibile, però, negare che a fare la differenza siano stati alcuni giocatori che hanno vissuto una stagione memorabile. Il protagonista assoluto non può che essere la vera sorpresa dell’anno, quello Scott McTominay che è passato dall’essere un panchinaro all’Old Trafford ad un vero e proprio eroe al Maradona.

Il prodotto dell’academy del Manchester United è stato lasciato andare controvoglia dalla società, costretta ad accettare l’offerta di 30,5 milioni di euro del Napoli pur di rispettare i parametri del fair play finanziario. Il nazionale scozzese, usato col contagocce da Ten Hag, è il giocatore che ha più beneficiato del lavoro di Antonio Conte: a parte gli 11 gol e 6 assist nelle 33 presenze nella massima serie, il centrocampista si è trasformato da quando gli è stato consentito di avanzare alle spalle del centravanti. Ad impressionare è stata non solo la sua fisicità ma anche l’intelligenza e duttilità dimostrata nel corso di una stagione giocata sempre al vertice. Molti sembrano dimenticarsene ma, pur senza raggiungere le vette delle stagioni all’Inter, la stagione del debutto di Romelu Lukaku in maglia azzurra non è stata affatto male. 13 gol e 10 assist non raccontano quanto l’avanti belga sia stato utile al gioco del Napoli: anche se non è più esplosivo come una volta, il gioco spalle alla porta è sempre prezioso per far salire la squadra. Aggiungi il fatto che Lukaku si attira sempre un paio di difensori e si capisce perché sia considerato insostituibile dal tecnico pugliese.

I magnifici 5 dello scudetto
Se gli attaccanti si guadagnano necessariamente le prime pagine, la cavalcata vincente del Napoli non sarebbe riuscita senza il contributo di giocatori tanto preziosi quanto affidabili. A rendere a volte perfetto il gioco dei partenopei hanno sicuramente contribuito le fiammate di David Neres ma il brasiliano è stato perseguitato dagli infortuni, costringendo Conte a trovare altre soluzioni. Pochi sono stati altrettanto consistenti di André-Frank Zambo Anguissa, la cui fisicità sulla mediana fa sempre la differenza. Il centrocampista camerunense è una presenza costante nel centrocampo, dove contribuisce sia in termini di equilibrio che di capacità di creare dal nulla ripartenze pericolose: le sei reti sono una ciliegina niente affatto sgradita. In quanto a regolarità, però, ben pochi sono riusciti a fare quel che è riuscito ad Amir Rrahmani: chiudere la stagione saltando solo una delle partite di campionato. Il difensore albanese ha avuto la personalità di guidare il reparto sopperendo alle assenze di Buongiorno e contribuendo in maniera determinante a rendere la retroguardia partenopea la migliore del torneo.

La qualità del lavoro effettuato da Conte, comunque la pensiate sui suoi metodi, si può verificare guardando il contributo di Matteo Politano sulla fascia destra. A parte consumare le suole correndo come pochi altri in Serie A, il laterale è sembrato nettamente in crescita durante la stagione, fornendo qualità in abbondanza ed anche un paio di reti decisive, scusate se è poco. Anche se da un giocatore della sua esperienza ti aspetti sempre e comunque prestazioni solide, la duttilità tattica e la voglia di contribuire in avanti del capitano Giovanni Di Lorenzo non può esser trascurato. Gli alti e bassi delle stagioni passate non sono del tutto mancati ma il nazionale azzurro rimane il punto fermo dell’impianto difensivo partenopeo. Impossibile, poi, non parlare di come l’assenza di Stanislav Lobotka riesca a rendere irriconoscibile questo Napoli. Ogni volta che il centrocampista polacco è mancato all’appello, l’undici di Conte ha pagato pesantemente in termini di gioco e di risultati. Il metronomo della mediana è l’unico in grado di dare il tempo giusto alle ripartenze del Napoli, coi suoi soliti passaggi millimetrici: senza la sua pietra angolare, questa squadra non avrebbe mai potuto strappare lo scudetto all’Inter. Alla fine, però, è stato merito di Conte aver trovato il giusto mix di forza, intelligenza e cattiveria necessari per riuscire nell’impresa.

Il solito Conte: vinco e me ne vado
Ci sono poche cose certe nella vita: le tasse, la morte ed il fatto che Antonio Conte, una volta vinto qualcosa di importante, trovi il modo di togliere le tende e traslocare altrove. Anche se il tecnico pugliese giura e spergiura che non succederà più, finisce sempre per ripetere il solito modus operandi: ancora prima di vincere inizia a preparare la piazza, mettere le mani avanti ed iniziare a guardarsi attorno. Non mi azzardo a provare a capire la mentalità dell’ex tecnico della Juve e dell'Inter ma questo comportamento si ripete da troppe volte per essere casuale. Le frasi ad effetto, le liti dietro le quinte, le richieste a volte fumose, altre volte fin troppo precise, il copione è sempre lo stesso. Nemmeno il fascino della città campana è riuscito nel miracolo di trattenere Conte per più di una stagione ma il tecnico pugliese è comunque riuscito in una mezza impresa. Considerata la partenza orribile del suo Napoli, le polemiche mai troppo sopite sui giocatori da lui pretesi, la critica che giudicava Lukaku bollito e McTominay inadatto alla Serie A si è dovuta rimangiare tutto. Alla fine, di riffa o di raffa, Antonio Conte è riuscito a vincere un altro scudetto al primo tentativo.

Poco importa se, per la prima volta nella sua illustre carriera, Conte deciderà davvero di tornare sui suoi passi e riprendere la guida di una Juventus rinnovata: sicuramente non tornerà al Maradona a guidare il Napoli nella prossima stagione. Ha influito il rapporto difficile con De Laurentiis? Chi può dirlo? Chi può sapere cosa giri nella testa di Conte? Davvero sono state le diverse visioni sul progetto dei partenopei a causare la rottura definitiva? A questo punto importa poco o niente. Se davvero dovesse essere Allegri a prenderne il posto al Napoli, come si mormora da qualche giorno, troverà una rosa cresciuta molto in termini di autostima e capacità tattica. Un Napoli fatto da giocatori più esperti, più maturi, capaci di reggere mentalmente al duello all’ultimo errore contro una squadra tosta come l’Inter di Inzaghi e uscirne vincitori.
Conte è riuscito a confermare che, nonostante gli anni passino per tutti, non ha ancora dimenticato come si fa ad assemblare e guidare fino al traguardo una squadra vincente.
A vedere come riesca sempre a farcela sembrerebbe che vincere fosse la cosa più facile al mondo ma le cose non stanno assolutamente così: è facile solo se ti chiami Antonio Conte. Parlatene bene, male, non parlatene affatto, a lui importa niente: neanche un anno dopo il suo arrivo trionfale, alza al cielo uno scudetto e saluta. Finché vince, ha ragione lui.
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