Pd, la tegola Cozzolino. E la Grecia dà la caccia a 20 milioni della Kaili

Il deputato era "agli ordini" del Marocco: è il primo indagato appartenente ai dem

Pd, la tegola Cozzolino. E la Grecia dà la caccia a 20 milioni della Kaili

E adesso il Pd in Europa ha un problema con nome e cognome: Andrea Cozzolino, napoletano, uomo di punta del partito in Campania approdato tre anni fa sull'onda di una valanga di voti al Parlamento di Bruxelles. Perché se da Antonio Panzeri, in carcere ormai da quasi un mese, il Pd poteva in qualche modo prendere le distanze («in fondo si tratta di un ex deputato che ha lasciato da tempo il partito»), e se gli altri big investiti dallo scandalo, come la greca Eva Kaili e il belga Marc Tarabella, militano in partiti cugini, Cozzolino è targato 100% Pd. E nella richiesta della Procura belga di revocare la sua immunità di parlamentare europeo ci sono dettagli sconcertanti, accertati dai servizi segreti belgi prima di passare l'incartamento alla Procura ordinaria. Cozzolino, dicono le carte, era «in stretto contatto» con il dirigente degli 007 marocchini Yassine Mansouri e avrebbe addirittura «preso ordini» dall'ambasciatore di Rabat in Polonia, Abderrahim Atmoun, l'uomo che si occupava personalmente di gestire gli oboli del governo marocchino a Panzeri e alla sua ong, «Fight Impunity». Il Marocco, va ricordato, è insieme a Qatar e Mauritania uno dei paesi cui la lobby occulta di Panzeri avrebbe aperto a pagamento le porte del Parlamento. Di fronte a questo quadro, la richiesta della Procura belga di poter incriminare e arrestare sia Cozzolino che Tarabella appare destinata a venire accolta a tempo di record. Cozzolino però, anche se dovesse finire in cella, resterebbe in carica come deputato. Una presenza che a quel punto si farebbe imbarazzante tanto per il Pd quanto per i Socialisti&Democratici, l'eurogruppo di cui anche il Pd fa parte, investito in pieno dallo scandalo del Qatargate.

A peggiorare la situazione per gli S&D ci sono le novità arrivate ieri sul conto di Eva Kaili. Per la ormai ex vicepresidente del Parlamento europeo, già brillante promessa del Pasok greco, finora gli inquirenti non hanno chiesto la revoca dell'immunità parlamentare, e infatti la donna è potuta finire in cella solo perché sorpresa in flagrante con i sacchi dei soldi. Ma di quei soldi la Kaili si è sempre dichiarata all'oscuro, scaricandone la responsabilità sul proprio compagno Francesco Giorgi e su Panzeri, e tirando in ballo en passant anche Cozzolino. Ma ora arriva dalla Grecia una rivelazione che, se confermata, getterebbe una luce diversa non solo sulla Kaili ma sull'intero Qatargate: la giustizia ellenica dà la caccia a un tesoro da decine di milioni di euro che la socialista è sospettata di avere accumulato all'estero. Una richiesta di collaborazione è stata inviata a Panama dal presidente dell'autorità antiriciclaggio greca, Charalampos Vourliotis, per individuare conti alimentati da bonifici riconducibili alla Kaili o al suo entourage. Secondo la stampa locale, l'importo totale si aggirerebbe intorno ai venti milioni di euro: un tesoro che farebbe impallidire il milione scarso scovato tra le case e i conti di Panzeri, e costringerebbe a chiedersi di quali altre fonti di finanziamento occulto godesse la «cricca».

Per continuare a scavare, i pm belgi - che stanno dimostrando di voler usare le maniere forti con gli indagati - ritengono importante poter chiudere in cella e interrogare da detenuta anche la moglie e la figlia di Panzeri, attualmente agli arresti domiciliari in

Italia. Ieri la Corte d'appello di Brescia doveva decidere sulla consegna della figlia, ma ha rinviato la decisione in attesa che il Belgio fornisca chiarimenti sulle condizioni carcerarie cui la donna andrebbe incontro.

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