Di Matteo, piccolo Ingroia in lite col Colle

Di Matteo che indaga sulla trattativa Stato-mafia insulta Renzi, Cav, Quirinale e Csm come faceva il suo predecessore

Di Matteo, piccolo Ingroia in lite col Colle

Roma - Ingroia? No, quello vero non c'è, ha perso le elezioni, non s'è più visto, è sparito dai radar. Ma niente paura, ecco a voi il sostituto. Si chiama Antonino Di Matteo, pure lui è di Palermo, pure lui fa il pm antimafia, pure pretende di spiegare al Parlamento come si fanno le leggi e forse, sempre come il suo predecessore, pure lui si butterà in politica. Del resto Beppe Grillo sul suo blog l'ha già incoronato, «l'Italia onesta di Di Matteo», e lo aspetta.
Intanto l'Ingroia-bis si dà parecchio da fare. Attacca il Cav, colpevole di «gravi reati» e capo di un partito che ha tra i suoi «fondatori un soggetto colluso con Cosa Nostra», e questo quasi non fa più notizia. Se la prende anche con Matteo Renzi, che «tratta con un condannato» per fare le riforme. Ma il bersaglio grosso è ancora il Quirinale, è quel Giorgio Napolitano che «condiziona il Csm» perché vuole trasformare i pm in passacarte e che, per di più, si rifiuta di scendere in Sicilia per testimoniare al processo sulla presunta trattativa con il Male.
Incastrare il Colle dev'essere il suo chiodo fisso. Due anni fa Di Matteo, con Ingroia, fu protagonista del conflitto davanti alla Corte costituzionale, sollevato e vinto dal Quirinale, sull'inutilizzabilità nel processo Stato-mafia delle telefonate intercettate a Napolitano. Due giorni fa la Procura ha ribadito in udienza l'istanza di ascoltare al più presto il capo dello Stato come testimone, sebbene il presidente abbia chiesto con una lettera di cancellare la sua deposizione: «Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo».
La Corte d'Appello deciderà a settembre e non mancheranno altre polemiche. Ma Ingroia-bis ha pensato di portarsi avanti con il lavoro approfittando delle manifestazione per il ventiduesimo anniversario della strage di via D'Amelio, dove Paolo Borsellino saltò in aria con la sua scorta, per rilanciare la palla. Rosy Bindi, presidente della commissione Antimafia, fischiata nell'indifferenza generale. Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco Vito, arrestato la prima volta da Falcone e Borsellino, trattato come un eroe sebbene condannato in via definitiva per riciclaggio del tesoro illecito raccolto dal padre mafioso. Le agende rosse sventolate come ai bei tempi della Rivoluzione civile dell'Ingroia originale.
Di Matteo, per illustrare il suo programma politico, non poteva sperare in un palcoscenico migliore e l'assoluzione in appello di Berlusconi nel processo Ruby era troppo fresca per non approfittarne: «In una sentenza della Corte di Cassazione è accertato che un partito diventato forza di governo nel 1994 ha annoverato tra i suoi ideatori e fondatori un soggetto da molto tempo colluso con Cosa Nostra e che da molti anni fungeva da intermediario consapevole dei loro rapporti con l'imprenditore milanese». E oggi, s'indigna, «quell'imprenditore condannato per reati gravi discute con il presidente del Consiglio di riformare la legge elettorale e la Costituzione alla quale Paolo Borsellino aveva giurato fedeltà». Dunque il Patto del Nazareno è «un'onta»
Così non va, «bisogna trovare la forza di reagire».

Come pure, insiste Di Matteo, «non si può assistere in silenzio al tentativo di trasformare il pm in un burocrate sottoposto alla volontà del proprio capo, di quei dirigenti nominati da un Csm schiacciato e condizionato da pretese correntizio e da indicazioni sempre più stringenti del suo presidente», cioè, Napolitano. Ingroia è tornato? «No - spiega Fabrizio Cicchitto - questo è solo un mediocre imitatore».

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