Cronache

Con Pesenti se ne va l'ultimo "industriale" del salotto di Cuccia

Scomparso a 88 anni Giampiero Pesenti. Il suo impero di cemento arrivava a giornali e banche

Con Pesenti se ne va l'ultimo "industriale" del salotto di Cuccia

Ci sono persone che, al di là dei loro meriti e delle loro inclinazioni individuali, finiscono per identificarsi con un mondo. Così è per Giampiero Pesenti. L'imprenditore, morto ieri a Bergamo a 88 anni, ha incarnato più di chiunque altro quel capitalismo relazionale che ha dominato l'economia italiana fino al prevalere della globalizzazione dei mercati e della finanza.

Su questo percorso Pesenti, classe 1931, si era avviato per una sorta di investitura paterna. Proprio il padre Carlo, erede e guida dell'impero familiare costruito sul cemento, nel secondo dopoguerra si era trasformato in uno dei «raider» più aggressivi della Borsa milanese. Nel carniere di Italmobiliare, insieme a Italcementi una delle due società di punta del gruppo, erano entrati il colosso assicurativo Ras, cinque istituti di credito, la Franco Tosi Meccanica, giornali (tra gli altri la Notte e il Tempo) e perfino la casa automobilistica Lancia. Tutte manifestazioni di una bulimia affaristica che gli era valsa il nomignolo di «Carletto pigliatutto» (ad affibbiarglielo era stato Ernesto Rossi).

Con le proprietà però erano aumentate a dismisura anche i debiti. E l'ultima malaccorta operazione, l'ingresso nel Banco Ambrosiano solo pochi mesi prima della morte di Roberto Calvi, si era trasformata in una sorta di colpo di grazia per l'equilibrio dei conti. Nel 1984, quando «Carletto» muore in una clinica di Montréal, pare faccia in tempo a dare al figlio e successore un solo consiglio, quello di affidarsi a Enrico Cuccia, imbattibile taumaturgo delle dinastie imprenditoriali in crisi.

Al giovane Giampiero l'indicazione che arriva dal guru di Mediobanca è precisa: concentrarsi sull'attività tradizionale. E lui la segue alla lettera: a tappe forzate vende tutto quello che il padre ha comprato e torna a occuparsi di cemento a tempo pieno. Da quel momento il legame con la banca di via Filodrammatici si fa però strettissimo. E nel 1988, quando Cuccia è artefice della privatizzazione dell'istituto, a entrare nel capitale di via Filodrammatici è anche Pesenti. Italmobiliare diventa una protagonista di quel reticolo di partecipazioni incrociate e patti di sindacato che Cuccia utilizza per «blindare» il controllo dei grandi gruppi. La dinastia del cemento, insieme agli Agnelli, ai Pirelli e agli Orlando, contribuisce al controlo di Credito Italiano, Corriere della Sera, Gemina, «salotto buono» per antonomasia del capitalismo tricolore.

Il meccanismo creato da Cuccia è accusato di «ingessare» i grandi gruppi, di mortificarne gli «animal spirits» imprenditoriali, alzando una comoda rete di protezione dalle insidie del mercato. Ma nel 1993 Pesenti mette a segno il grande colpo: con l'acquisizione di Ciments Français, Italcementi diventi diventa il primo gruppo europeo del suo settore, uno dei primi cinque nel mondo. E Bergamo, da dove è partito tutto, è la capitale dell'impero.

Un bel sogno, che però termina nel 2015. A sorpresa Giampiero e il figlio Carlo (nato nel 1963, ingegnere come il padre e il nonno) che ormai lo affianca alla guida dell'azienda, vendono tutto ai tedeschi di HeidelbergCement. È una svolta e per qualcuno anche uno choc. La famiglia incassa la bellezza di 1,7 miliardi. Parte viene investito nel capitale di Heidelberg, parte nell'acquisto di Clessidra, la banca d'affari creata da Claudio Sposito.

Sul piano familiare per Giampiero negli ultimi anni non mancano le amarezze. Nel 2015 muore la moglie, Franca Natta Pesenti, figlia di Giulio, premio Nobel per la Chimica.

Del 2017 è la controversia con due delle tre sorelle che hanno impugnato il testamento della madre, morta dieci anni prima, che attribuiva all'unico maschio un ruolo privilegiato nella gestione del gruppo.

Commenti