
Una settimana fa, la Spagna celebrava un traguardo storico: per la prima volta, il 100% della sua energia elettrica proveniva da fonti rinnovabili. Un trionfo verde, un modello per l'Europa. Poi, il disastro. Un blackout devastante ha spento lunedì Spagna e Portogallo, lasciando milioni di cittadini al buio, treni fermi, aerei a terra, semafori spenti. Il caos ha travolto un'economia digitale che senza elettricità si paralizza: niente carte di credito, niente transazioni, niente lavoro. È scattato lo stato di emergenza, e solo dopo ore di sforzi titanici, con un'operazione di «black start» mai tentata su una rete così dipendente dalle rinnovabili, la rete è stata ripristinata. Ma il prezzo è stato alto e le lezioni sono amare.
Il collasso non è stato un fulmine a ciel sereno, ma il risultato di una vulnerabilità strutturale. La Spagna, con il 78% della sua energia da solare e eolico, l'11,5% da nucleare e appena il 3% da gas, aveva ridotto al minimo la «generazione rotante» tradizionale, quella che garantisce inerzia alla rete. L'inerzia, generata dalle turbine di centrali fossili o nucleari, è il cuore pulsante che mantiene stabile la frequenza della rete a 50 Hz. Senza, basta un piccolo squilibrio un guasto, errore di programmazione in sala controllo o anche un attacco informatico per innescare un effetto domino. E così è stato. Le fonti rinnovabili, per quanto virtuose, non offrono questa stabilità intrinseca. I pannelli solari e le pale eoliche, con i loro inverter, dipendono dalla tensione della rete per funzionare. In caso di blackout totale, non possono riavviare il sistema da sole: serve la «massa rotante» delle vecchie centrali, quelle che l'Europa sta smantellando in nome della transizione verde. La Spagna, fortunatamente, ne ha ancora nucleare e gas ma il loro ruolo era stato marginalizzato.
Il «black start» è stato un'impresa, ma ha rivelato una verità scomoda: senza un'infrastruttura di backup robusta, le rinnovabili sono un'arma a doppio taglio. Questo disastro ci pone di fronte a due lezioni cruciali. La prima è geopolitica: un blackout di questa portata ci rende vulnerabili a potenziali cyberattacchi su vasta scala, di quelli che potenze ostili come Russia o Cina potrebbero orchestrare. La nostra dipendenza da reti digitali e interconnesse ci rende vulnerabili, e l'Europa non è pronta. La seconda lezione è tecnica: non possiamo affidarci alle rinnovabili senza un sistema di supporto adeguato. Servono batterie di accumulo su scala industriale un investimento colossale ancora lontano dall'essere realizzato oppure un ritorno, almeno parziale, a fonti tradizionali come fossili o nucleare. Altrimenti, blackout come questo diventeranno la norma. In quest'ottica appare ancora più cruciale che il governo italiano si attivi affinché le centrali a carbone ancora attive nel Paese non vengano definitivamente chiuse a fine anno.
Il paradosso è che l'Europa, spingendo sull'acceleratore delle rinnovabili, sta creando nuovi problemi. La Spagna ha pagato il prezzo del lasco sistema di permitting che ha sì spinto molto al ribasso i prezzi dell'elettricità (attualmente -20/MWh rispetto a quelli in Italia) ma ha al tempo stesso portato a proliferazione indiscriminata di solare distribuito mentre non venivano eseguiti i necessari investimenti in accumuli. Ma anche in Germania, l'eccesso di capacità solare ha raddoppiato le ore di prezzi negativi dell'elettricità rispetto all'anno scorso. In certi momenti, i produttori pagano per smaltire l'energia in eccesso, un segnale di spreco sistemico. La rete non è progettata per gestire flussi così variabili, e l'assenza di soluzioni di stoccaggio adeguate trasforma il sogno verde in un incubo logistico. Il blackout ci ricorda che l'entusiasmo per le rinnovabili deve essere temperato dal realismo. Non si tratta di abbandonare la lotta al cambiamento climatico, ma di riconoscerne la complessità. La transizione energetica non è una corsa verso un traguardo ideale, ma un percorso irto di ostacoli tecnici e politici. Ignorarli significa condannarci a nuovi blackout, a nuove crisi.
L'Europa deve investire, e in fretta: in batterie, in reti intelligenti, in una diversificazione delle fonti che non demonizzi il nucleare né escluda i fossili come soluzione di transizione. Altrimenti, il prossimo blackout non sarà solo un incidente, ma la prova di un fallimento collettivo. La luce si è riaccesa, per ora. Ma il buio è ancora lì, in agguato.
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