Petrolio e rublo in caduta Nelle Borse è lunedì nero

Il greggio scende sotto i 57 dollari il barile e trascina in basso la moneta russa (-8%). I listini europei bruciano 200 miliardi

Non bastavano le preoccupazioni legate al primo turno delle elezioni presidenziali greche, in programma domani: all'inizio della settimana, le Borse hanno dovuto fare ancora i conti con l'ennesimo calo delle quotazioni del petrolio e del rublo, le due variabili impazzite di fine anno. È stato come sbattere contro a un muro, con gli indici accartocciati sotto il peso delle vendite e della crescente avversione al rischio che, per quanto possa sembrare paradossale, ha finito per premiare i titoli di Stato della periferia dell'Eurozona. Mentre i rendimenti del Btp decennale sono scesi al 2%, all'1,79% quelli sul Bonos spagnolo e allo 0,63% perfino i tassi del granitico Bund tedesco, nel Vecchio continente i listini hanno subìto perdite consistenti: il -2,19% dell'indice Eurostoxx 600 equivale all'evaporazione di 200 miliardi di euro di ricchezza borsistica. Piazza Affari ha iscritto a bilancio un ribasso del 2,74% su cui ha fortemente inciso la caduta verticale dei titoli bancari, a cominciare da Mps (-8,14%), collassata mentre rispunta la pista cinese, e Carige (-7%), oltre ai tonfi di big come Unicredit (-4,7%) e Intesa Sanpaolo (-4,33%).

Eppure, all'inizio della contrattazioni sembrava che la giornata potesse prendere una piega ben diversa. Sull'onda dei recuperi del prezzo del greggio, avevano ripreso fiato Eni e Saipem, con quest'ultima arrivata a guadagnare oltre il 5%. Poi, il vento è cambiato, al punto da far chiudere i titoli del Cane a sei zampe a -3,5% e quelli della sua controllata poco sopra la parità (+0,24%). Colpa del Wti, sceso sotto i 57 dollari il barile (minimo da cinque anni), e del Brent, scivolato a 61,26 dollari, per effetto delle parole con cui gli Emirati Arabi Uniti hanno fatto sapere che l'Opec, il cartello dei Paesi produttori, «non ha un target di prezzo» del greggio, «non può sistemare l'attuale situazione nel mercato del petrolio» e che gli attuali livelli dell'oro nero «non sono sostenibili» per i produttori Usa di shale oil.

Per la verità, è soprattutto la Russia a essere alle corde. La picchiata delle quotazioni sta scavando una voragine nel budget nazionale, per la metà basato sugli introiti garantiti dal greggio. Con un annuncio choc, la Banca centrale russa ha comunicato che il Pil 2015 potrebbe contrarsi del 4,5-4,7% se il prezzo del petrolio resterà a 60 dollari il barile fino alla fine del 2017, mentre il tasso d'inflazione salirà fino a un picco dell'11,5% nel primo trimestre del 2015. Uno scenario catastrofico, reso ancora più critico dalla caduta senza fine del rublo, che ieri ha perso un altro 8% rispetto all'euro e al dollaro. Dall'inizio dell'anno, la perdita di valore è pari al 42% rispetto alla moneta europea e al 48% contro il biglietto verde. Un disastro. Al punto che qualche operatore comincia a temere il peggio, ovvero a non escludere l'ipotesi di un crac di Mosca. Un pessimo segnale in questo senso è il fatto che ieri è andata deserta l'asta con cui il Cremlino puntava a collocare 700 miliardi di rubli (circa 11,6 miliardi dollari) di titoli di Stato a tre anni. Aumentano così le pressioni per interventi sul mercato valutario da parte della Banca centrale a difesa del rublo dopo l'inutile stretta ai tassi di interesse (dal 9,5 al 10,5%) della scorsa settimana.

Ma a tenere col fiato sospeso i mercati è anche la difficile partita per l'elezione del presidente della Grecia che inizia domani.

Se i partiti di maggioranza non dovessero riuscire a raccogliere i consensi necessari (200 nella prima tornata, 180 nelle due successive, il Paese andrebbe dritto verso il voto anticipato, con la probabile affermazione di Syriza, il partito della sinistra radicale che ha come principale obiettivo la rinegoziazione del debito ellenico.

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