La pezza di Renzi peggiora la situazione

La pezza di Renzi peggiora la situazione

L'equiparazione del diritto di sciopero in materia culturale - da parte dei gestori di luoghi e servizi della prima natura - al diritto di sciopero nei servizi pubblici è una soluzione neocorporativa, che è servita al governo per far fronte al conflitto fra diritto di sciopero e esigenze dei turisti in visita al Colosseo. Una soluzione che assomiglia più ai metodi del vecchio fascismo che a quelli di una democrazia liberale. Renzi - che non è propriamente un liberale, ma è un reduce della prima Repubblica, una pasticciata appendice del fascismo sconfitto, ma non definitivamente debellato - si è scordato, come i governi che lo avevano preceduto, di approvare regolamenti attuativi dei diritti che il fascismo aveva cancellato e la Repubblica ripristinato. Ma senza una procedura regolamentare, che disciplini il diritto di sciopero, conciliandolo con le esigenze di chi viene a contatto con la sfera di attuazione di tale diritto, situazioni come quella alla quale il governo ha posto rimedio con un provvedimento sbrigativo, si ripeteranno anche in futuro.

Nel dopoguerra, c'è stata una sorta di frenesia iperdemocratica di ripristinare diritti caduti in disuso col fascismo, frenesia cui non si sono accompagnati regolamenti attuativi che ne disciplinino l'esercizio e ne fissino gli ambiti. Si è risolto un problema, quello dei diritti; se n'è creato un altro, quello della libertà sindacale. Renzi è l'interprete, a modo suo, del fastidio che molti italiani hanno provato per l'eccesso di discrezionalità dei sindacati durante la prima e seconda Repubblica, e cerca di porvi rimedio con provvedimenti tendenzialmente autoritari - che, se da un lato, soddisfano l'idiosincrasia di molti per il vecchio pansindacalismo, dall'altro cambiano la natura della democrazia. L'Italia ha imboccato, con Renzi, una china autoritaria; molti italiani ne sono soddisfatti al punto di interpretare la rottamazione come una riforma democratico-liberale. Il che non è.

La Prima e la Seconda Repubblica avevano una vocazione mediatrice che si risolveva nel portare per le lunghe la presa d'atto dei problemi, senza risolverli, grazie al metodo conciliatorio fra eredità corporativa del fascismo, adozione, con la Resistenza, di un sistema totalitario di tipo sovietico e spinte democratiche. Renzi ha interpretato il fastidio di molti italiani per l'eccesso di sindacalizzazione con la sua teoria della rottamazione dei cascami della prima e della seconda Repubblica, rappresentati dall'opposizione interna nel Partito democratico di cui è il segretario e da frange minoritarie parlamentari. Ma che piaccia o no, i Bersani e i D'Alema hanno, entro certi limiti, ragione; un uomo solo al comando - che è il sogno di Renzi - non ha nulla a che fare con la democrazia liberale, e ne è, anzi, la negazione. Le soluzioni neocorporative, come quella attuata dal governo Renzi, non durano a lungo e, soprattutto, sono la negazione delle procedure della democrazia liberale.

Forse (forse) faranno guadagnare consensi elettorali al presidente del Consiglio, ma snaturano la democrazia, che non è quella della prima o della seconda Repubblica, ma un sistema di procedure di mediazione e conciliazione fra interessi in competizione, se non addirittura in conflitto, come teorizzava Einaudi. Forse, una rilettura degli scritti del vecchio liberale non farebbe male al nostro spregiudicato rottamatore...

piero.ostellino@ilgiornale.it

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