Campane a morto in tutta l'America Latina per la dipartita dell'«amico Fidel». Si battono il petto recitando il requiem aeternam il presidente del Messico Enrique Pena Nieto, l'ecuadoregno Rafael Correa («se ne è andato un grande»), il venezuelano Nicolas Maduro («ha fatto la storia con i popoli del mondo. Era una leggenda. All'immortalità di coloro che lottano tutta la vita hasta la victoria siempre»). Dal mortorio sale la voce di Diego Armando Maradona, che si toglierà l'orecchino, eccezionalmente, si metterà un vestito normale e volerà a Cuba per «salutare un amico. Per me è stato come un secondo padre. È morto il più grande», geme.
Un miserere Dòmine da Papa Francesco. Compunto e dolente Barack Obama, sull'attenti il presidente Putin e il cinese Xi Jin Ping giù giù lungo una teoria infinita di leader, leaderini, mezze figure e comparse sparpagliati per i cinque continenti, tutti in gramaglie. Solo il presidente eletto Donald Trump spezza il dilagante, mortifero, imbarazzante conformismo. «È morto!», annuncia via tweet. Ma quel punto esclamativo vale più di un discorso. Poi la definizione: «È stato un brutale dittatore che ha oppresso il suo popolo per sei decenni». Quindi la promessa che il suo governo farà «tutto il possibile per garantire che il popolo cubano possa finalmente iniziare il suo percorso verso la prosperità e la libertà. Mentre Cuba rimane un'isola totalitaria, la mia speranza è che oggi si segni un allontanamento dagli orrori supportati per troppo tempo e si vada verso un futuro in cui il meraviglioso popolo cubano finalmente possa vivere nella libertà che merita».
Ma quella del tycoon è una voce isolata. Da Roma Papa Francesco parla di «triste notizia» e invia all'«amata nazione cubana» un telegramma di condoglianze inteso a ribadire, confermandolo, il clima di ritrovata cordialità tra l'Avana e il Vaticano. Rispettoso ma fitto di educati e prudenti distinguo il commento di Barack Obama, toccato dalla «profonda emozione» che la morte di Castro produce nei cubani di Cuba, ma anche nei cubani che dalla Cuba di Castro se ne sono andati (quelli che hanno potuto) a gambe levate. «Sarà la Storia a registrare e giudicare l'enorme impatto di questa singolare figura sulla gente e sul mondo che lo circondava» è stato il suo lapidario epitaffio. Ma è venuto il momento di proiettarsi in avanti, guardando non alla differenze «ma alle molte cose che condividiamo come vicini e amici: legami famigliari, culturali, commerciali e di comune umanità».
Punti di vista. Per Putin, Castro «è stato un amico sincero e affidabile della Russia, il simbolo di un'epoca», mentre la Cuba «libera e indipendente che lui e i suoi alleati hanno costruito è divenuta un esempio di ispirazione per molti Paesi». Il Washington Post, che non ha paura di parlarne male anche da morto, lo ricorda invece come il «leader repressivo che ha trasformato il suo Paese in un gulag».
Ammirato e deferente anche il presidente cinese Xi Jinping, secondo il quale Castro «vivrà in eterno», mentre il popolo cinese «ha perduto un compagno buono e sincero». «Luci e ombre» emergono dai ricordi del presidente emerito Napolitano, così come da quelli di Hollande, secondo il quale Fidel «ha incarnato la rivoluzione cubana nelle sue speranze e nelle sue disillusioni».
Il resto, dal capo del governo spagnolo Rajoy al compunto Juncker, dall'anziano Gorbaciov, è un mieloso, prevedibile e commosso amarcord in cui le voci e le facce delle vittime del regime non trovano neppure uno strapuntino, e neanche due righe in cronaca.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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