Roma - Un po' di amarezza per il tentativo di metterlo in mezzo al pasticcio del Csm. Un pizzico di rabbia residua perché volevano indebolirlo proprio ora mentre il governo traballa, Tria non trova sponde a Bruxelles e la Ue prepara la stangata. Il «fastidio» per la storia della gola profonda. E la forte delusione per il fuoco amico: a chiamarlo in causa, spalleggiati da Repubblica, sono stati due parlamentari del Pd, il suo partito. Siccome però la manovra è fallita, Sergio Mattarella si sente più saldo di prima. E così in serata indice le elezioni per sostituire i togati che si sono dimessi. «Bisogna voltare pagina e assicurare la funzionalità del Consiglio superiore - spiegano fonti qualificate del Colle - restituendo alla magistratura indipendenza e prestigio». Scartata l'idea di uno scioglimento. Primo, non ci sono precedenti. Secondo, anche i nuovi verrebbero nominati con i vecchi criteri, che invece il presidente invita a cambiare in nome della trasparenza e della fine delle correnti organizzate.
Eccolo infatti Mattarella in mattinata sereno e disteso alla riunione annuale del Cnel, accolto dagli applausi. Il capo dello Stato sorride, stringe mani, fa ciao ciao con la manina, però non apre bocca. Fermo, riservato, quasi glaciale. Silenzio assoluto sulle difficoltà di Palazzo Chigi alle prese con i conti pubblici, nessun commento sulle manovre per coinvolgere il presidente e i suoi uomini nello scandalo. Del resto non ha bisogno di dire nulla: Ferri e Palamara hanno fatto marcia indietro, la presunta talpa interna, Stefano Erbani, è il consigliere per gli affari dell'amministrazione della giustizia, quindi è normale che parli con qualche magistrato. Quanto a Lotti, l'ultima volta che è salito al Colle risale a un anno fa, il giorno che si è congedato perché dopo le elezioni e il cambio di maggioranza doveva lasciare il suo posto al ministero. Dal punto di vista del Colle il caso si sta già sgonfiando e la sostituzione dei dimissionari «è il primo passo per cambiare l'aria e restituire al Csm un prestigio che le note vicende hanno incrinato agli occhi dei cittadini».
Il passo successivo sarà il cambio delle procedure elettorali. Su questo argomento il capo dello Stato ha avuto diversi contatti con il vicepresidente del Consiglio superiore David Ermini e con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. E adesso i problemi veri, per Mattarella, sono altri. E cioè la tenuta del Paese che sta per essere sottoposto a un possibile choc finanziario. La crescita è ferma, il deficit sale, i conti non tornano. Se il governo non troverà delle forme di extra gettito, la procedura d'infrazione da parte di Bruxelles sarà inevitabile e tra spread, titoli di Stato invenduti e mercati, l'Italia rischia grosso. Insomma, con la Ue bisogna trattare, non rompere. Questa linea del Colle si riflette nelle posizioni del premier e del ministro dell'Economia, al punto che nei giorni scorsi si è parlato di un «terzo partito» della coalizione, guidato da Mattarella e formato da Conte, Tria e Moavero. Qualcuno ha pure ipotizzato la nascita prossima di una «lista Conte», con l'idea di proseguire la legislatura anche in caso di crisi.
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