Milano L'Italia sta male, ma anche la Germania non si sente troppo bene. Se i proverbi avessero sempre ragione, il mal comune dovrebbe tradursi in un mezzo gaudio. Così, purtroppo, non è. Mentre Berlino danza sull'orlo della recessione dopo il tracollo subìto in agosto dalla produzione industriale (-2,8% rispetto a un anno prima), Roma non è nemmeno nel purgatorio della stagnazione. Anche il Fondo monetario si è accorto che di ripresa, per quest'anno, neanche a parlarne. Unico Paese tra quelli industrializzati a collocare un segno meno alla voce Pil, nel 2014 l'Italia scivolerà indietro di un altro 0,2 dopo il -1,9 del 2013 e dovrà aspettare l'anno prossimo prima di tornare a crescere (+0,8%). Unica consolazione, le nuove stime del Fondo guidato da Christine Lagarde sono un po' più ottimistiche di quelle del governo, che vede un Pil in calo dello 0,3% nel 2014 e al +0,6% nel 2015.
Le cifre rimangono comunque impietose e non prive di conseguenze sul fronte del risanamento dei conti pubblici, con il pareggio di bilancio che Matteo Renzi vorrebbe far slittare al 2017. Jyrki Katainen, commissario agli Affari economici, si è però messo subito di traverso: «Dobbiamo trattare tutti i Paesi nello stesso modo». Niente figli e figliastri? Bene, ma margini di flessibilità sarebbero auspicabili ora che sull'intera eurozona soffia un'aria recessiva. L'Fmi parla di rischio di «stallo e deflazione», un pericolo reale che potrebbe trasformare Eurolandia nel «maggior problema» dell'economia mondiale. Parole che hanno gelato le Borse, con Milano giù dell'1,73% e Francoforte dell'1,34%. La Bce sta provando a cementare ciò che è pericolante, e il capo economista del Fondo, Olivier Blanchard, confida nei poteri taumaturgici del piano di acquisto di Abs «per aumentare il credito alle piccole e medie imprese». Ma allo stesso tempo invita Mario Draghi a stare in guardia: se l'inflazione resta gelida, va considerata l'opzione dell'acquisto di titoli di Stato. Certo il canale della politica monetaria non basta. L'Fmi chiama in causa i governi, invitati a procedere con riforme strutturali senza cedere alla tentazione di «ulteriori inasprimenti di bilancio». No all'austerity, dunque, sì alla riforma del lavoro italiana: «Mi piace - dice Blanchard -: la dualità del mercato è un grande problema, crea due classi di cittadini e questo non è desiderabile».
Desiderabile sarebbe anche una Germania finalmente calata nella parte della locomotiva, abbandonando il ruolo egoistico di primadonna. Chissà se il pessimo dato di lunedì sugli ordini (-5,7% in agosto) cui si è aggiunto quello di ieri sulla produzione a causa della picchiata (-25%) dell'output nel settore dell'automobile, indurranno Angela Merkel a cambiare registro.
Anche perché la politica economica centrata sull'export mostra la corda, e un altro trimestre di contrazione del Pil condannerebbe i tedeschi a un umiliante ingresso nel club della recessione.La chiusura della Borsa di Milano ieri dopo i dati del Fmi. Francoforte ha chiuso a -1,34%
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