Plusvalenze sulle Popolari De Benedetti inguaia Renzi

Il premier nega fughe di notizie sul decreto. Ma l'Ingegnere: tutti sapevano. Il ruolo della Consob

Plusvalenze sulle Popolari De Benedetti inguaia Renzi

Non tutte le notizie fuggono. Alcune sì, e sono affari per chi raccoglie la soffiata. Altre, invece, restano blindate fino a quando vengono disinnescate. C'è anche questa lettura dietro all'audizione come persona informata sui fatti del premier Matteo Renzi. Sentito dal procuratore capo Giuseppe Pignatone e dal pm Stefano Pesci a fine maggio per dire la sua sull'inchiesta romana sulle plusvalenze sospette intorno alla trasformazione delle banche popolari in spa. Indagine nata su input della Consob, che registrò strani movimenti sulle azioni delle banche proprio nei giorni precedenti il decreto di Palazzo Chigi che a gennaio 2015 indicò tassativamente a 10 banche popolari (quelle con attivi superiori agli 8 milioni di euro) la strada della quotazione in borsa, fissando il limite per la trasformazione in 18 mesi.

Del monitoraggio Consob sulle popolari parlò diffusamente il presidente dell'organismo di vigilanza, Giuseppe Vegas, durante l'audizione in commissione Finanze della Camera, a inizio febbraio del 2015. Rivelando, tra l'altro, come «le analisi effettuate hanno rilevato la presenza di alcuni intermediari con un'operatività potenzialmente anomala, in grado di generare margini di profitto». Il mirino della Consob puntava in particolare su «soggetti che hanno effettuato acquisti prima del 16 gennaio (data di annuncio del decreto da parte di Renzi, ndr), eventualmente accompagnati da vendite nella settimana successiva». Infine, Vegas stimava «le plusvalenze effettive o potenziali di tale operatività» in «circa 10 milioni di euro».

Tra coloro che avevano investito nelle popolari al momento giusto, incassando plusvalenze, c'era anche la Romed del Gruppo di Carlo De Benedetti, che avrebbe personalmente incaricato per telefono Gianluca Bolengo, ad di Intermonte Sim, di acquistare popolari per 5-6 milioni, motivando l'investimento con il prossimo varo del decreto e assicurandosi un margine di circa 600mila euro, come raccontò per primo, su questo quotidiano, Nicola Porro. Renzi sarebbe stato chiamato a testimoniare proprio perché i magistrati volevano capire se qualcuno, a Palazzo Chigi, avesse spifferato in anticipo il contenuto di quel decreto. Il verbale è secretato, ma il premier avrebbe giurato che nessun venticello in quell'inizio 2015 avrebbe violato la riservatezza del decreto, la cui genesi sarebbe insomma rimasta tra le mura di Palazzo Chigi, a conoscenza solo dell'esecutivo. De Benedetti, da parte sua, sia a dicembre che ieri ha replicato via portavoce ribadendo che, di fatto, il varo di quel provvedimento di riforma delle popolari era «di dominio pubblico», un punto che l'Ingegnere avrebbe ribadito anche con i magistrati, che lo hanno ascoltato - come persona informata sui fatti - qualche tempo fa. De Benedetti avrebbe insomma detto il contrario di quanto sostenuto da Renzi in visita dai magistrati: per il primo «lo sapevano tutti», per il secondo invece il segreto era totale. Ma le versioni, contrastanti o meno, pare che bastino per la procura, che invece il segreto sugli interrogatori eccellenti di fine maggio l'ha saputo tenere davvero bene.

Quando è caduto, ieri, da piazzale Clodio si sono affrettati a spiegare con una nota ufficiale di aver già chiesto l'archiviazione per l'intermediario di De Benedetti, che era indagato per ostacolo alla vigilanza. E chissà se la seccatura provocata dalla Consob al capo del governo c'entri niente con gli attacchi riservati negli ultimi tempi dall'esecutivo all'organo di vigilanza.

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