Politica

Pochi laureati e impreparati Il Sud è indietro di un anno

Tredici milioni di adulti hanno competenze di basso livello. Ma chi emerge è tra i migliori d'Europa

Simonetta Caminiti

«In Italia più di 13 milioni di adulti hanno competenze di basso livello. Rispetto a quanto avviene in altri Paesi, hanno minori probabilità di utilizzare specifiche competenze cognitive, che sono importanti nella performance dei lavoratori e delle imprese». Suona come una sentenza, pende sulla nuova generazione di adulti del nostro Paese, ed è il quadro che emerge dal rapporto Ocse «Strategia per le competenze». Un nettissimo e impietoso bassorilievo, che chiarisce anche come i laureati siano poco preparati, svalutati, e inoltre un persistente, ma quanto mai allarmante, divario tra Nord e Sud. I nostri lavoratori, recita il report, hanno abilità, specialità, competenze («skills») carenti e dunque imprese che non hanno le forze per investire. La conseguenza? Un vero è proprio animale che rincorre la sua coda, per la produttività italiana. Il rapporto Ocse, presentato al Mef, immortala un'Italia di professionisti poco competitivi e che male gestiscono la formazione ricevuta studiando e lavorando; ma cattura anche qualche piccolo spiraglio positivo: le riforme del governo Renzi e Gentiloni, adesso strette, però, dalla sfida della implementazione. Il passaggio reale dalla teoria alla pratica, per quanto il Jobs Act, secondo Ocse, sia per adesso «una pietra miliare del recente processo di riforme. Le riforme attuate in Italia hanno consentito di creare 850 mila posti di lavoro dal 2015». Secondo il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, «la riforma del sistema educativo, l'accumulazione del capitale umano, è la strategia di gran lunga più efficace nel lungo termine per far crescere benessere, ricchezza e prodotto». Ma i difetti di competenze e affidabilità dei nostri professionisti non risparmiano certo i laureati, e si scopre che a completare il ciclo universitario, tra i nostri adulti, è solo una piccola quota: appena il 20% degli italiani, secondo il rapporto, tra i 25 e i 34 anni, è laureato a fronte della media Ocse del 30%. E se non bastasse, per inquadrare nella porzione di laureati una vera nevralgia, si aggiunga che i pochissimi «dottori» italiani possiedono mediamente un più basso tasso di competenze in discipline come la lettura e la matematica. Tradotti in graduatoria Ocse, gli italiani si collocano al 26esimo posto su 29 esaminati. Peggio ancora se si considera il tasso di occupazione femminile: siamo al 32º posto su 35. Ma di cosa si occupano, in media, i nostri laureati? L'Italia è l'unico Paese del G7 in cui i professionisti muniti di laurea che svolgono mansioni di routine, sono superiori a quelli che svolgono attività fuori dalla routine: siamo, cioè, il Paese in cui il famigerato e agognato «pezzo di carta» e l'altisonante qualifica di dottore sfociano nelle mansioni più ordinarie; il che, ancora una volta, si ripercuote sulla produttività italiana. Produttività ferma a livelli «non soddisfacenti», che, secondo l'Organizzazione, segue a un ventennio di «andamento stagnante». La fotografia delle percentuali è significativa: i lavoratori con competenze in eccesso sono all'11,7%, i sovra-qualificati al 18%. E circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi. Il solco senza fine tra Nord e Sud? Mai stato una novità: ma, in base ai risultati dei test per sondare le competenze degli studenti (Program for International Student Assessment), è il dato scolastico a saltare all'occhio, e riguarda la Campania. Qui, gli studenti marciano con oltre un anno scolastico indietro rispetto a quelli della provincia di Bolzano. Se sia tutto così nero e irrecuperabile, si chiederanno i più. In realtà, ancora una volta, abbiamo la conferma paradossale che quando siamo bravi, ma bravi per davvero, saremo pure in pochi ma siamo capaci di tenere testa alle punte di diamante internazionali. I pochi italiani che emergono, infatti, rientrano tra i migliori in assoluto dei Paesi del G7. Specialmente in fatto di di rapidità d'apprendimento e problem solving. Intuito e strategia al tempo stesso. Sono sempre e comunque le competenze, quelle sfere in cui ciascun professionista punta a diventare un esperto, il tasto dolente.

E la chiosa viene anche dalla ministra dell'Istruzione Valeria Fedeli: «Le competenze - commenta devono essere al centro di una strategia di lungo termine, l'investimento pubblico sulla filiera del sapere è prioritario».

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