«Il giorno della resa dei conti per la privacy americana è arrivato. È il momento di legiferare» ha tuonato il senatore democratico Ed Markey, Massachusetts. «Facebook è un monopolio virtuale e i monopoli hanno bisogno di essere regolati», gli ha fatto eco il collega del South Carolina, il repubblicano Lindsey Graham. E ancora, il più feroce, il senatore John Kennedy (democratico fino al 2007, oggi repubblicano): «Il vostro contratto con gli utenti fa schifo. Ora tu puoi tornare a casa e combatterci oppure tornare a casa e aiutarci a risolvere questo problema». L'epoca dell'autoregolamentazione sembra insomma ormai al capolinea per Facebook e gli altri grandi big del tech, i Faang (oltre a Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google). Perciò, durante la sua due-giorni sulla graticola di fronte ai parlamentari americani, il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, non ha potuto tirarsi indietro: «La mia posizione? Penso che una regolamentazione sia inevitabile. La vera domanda è quale sia quella giusta».
Ma l'introduzione di nuove leggi potrebbe rivelarsi disastrosa per le azioni del comparto tecnologico. Un settore che è stato finora il meno regolamentato di tutti i comparti industriali. Un report di Bank of America fotografa l'enorme divario: a oggi sono 27mila i regolamenti in ambito tecnologico contro i 128mila nella finanza e i 215mila nel settore manifatturiero. E anche questa libertà di movimento (che si è tradotta in libertà di uso e abuso dei dati degli utenti della Rete) è all'origine del boom del comparto dell'information technology, che nell'ultimo anno (prima dello scandalo Facebook), ha registrato un +25%. Ed ecco la previsione fosca di una delle maggiori banche d'affari degli Stati Uniti: come già accaduto all'industria del tabacco e al settore finanziario, l'introduzione di una più seria e massiccia regolamentazione rischia di portare a un netto calo degli investimenti. Fu così nel 1992, quando le aziende legate al business delle sigarette diventarono responsabili per i rischi sulla salute legati ai loro prodotti e lo stesso copione si è ripetuto nel 2010, quando furono introdotte nuove leggi restrittive nel settore bancario per arginare la crisi finanziaria. Una ragione in più, secondo il chief investment strategist di Bank of America Michael Hartnett, per ridurre il peso del comparto tecnologico nei portafogli del 2018.
La prima scossa di terremoto è arrivata subito dopo il Datagate. Al termine di un 2017 sfavillante (con i ricavi della società di Menlo Park cresciuti del 47% a circa 40 miliardi e gli utili del 56%, intorno ai 16 miliardi), la notizia dello scandalo che ha coinvolto 87 milioni di utenti Facebook ha fatto crollare il titolo in Borsa, con una perdita del 20% del suo valore. La testimonianza di Zuckerberg al Congresso è stata accolta positivamente dai mercati il primo giorno e il titolo ha guadagnato il +4,5% martedì (la maggiore crescita giornaliera degli ultimi due anni) e l'1,8% ieri, a un'ora dalla chiusura, ma resta volatile.
Cosa accadrà adesso? Democratici e repubblicani si siederanno a un tavolo per legiferare e limitare i danni del Datagate. E il fatto che Zuckerberg sia stato chiamato a collaborare per qualcuno è già un controsenso.
Intanto il comparto tech è pronto a portare acqua al proprio mulino. Sono 131 i lobbisti stipendiati da Zuckerberg, 6 miliardi di dollari investiti da Fb in due anni e 265 i membri del Congresso finanziati dai Big Tech. Il braccio di ferro è appena cominciato.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.