In politica si possono immaginare scenari infiniti e può capitare che le visioni più improbabili diventino realtà. Ma per il resto, cioè quasi sempre, sono i numeri e le regole a imporsi. Ad esempio, sul futuro dell'Unione europea va molto di moda descrivere una Bruxelles del 2019 - cioè dopo le elezioni europee e quando si insedierà la prossima Commissione - invasa dalle forze populiste che stanno crescendo negli stati membri. Partiti anti euro che entrano nelle istituzioni Ue, capaci di influenzare le scelte chiave, determinati a mandare al macero le forze politiche che hanno dominato i primi 65 anni dell'Europa politica.
I toni e le forzature del governo italiano contro l'Europa sono influenzate da questa visione. In sintesi: la commissione guidata da Jean Claude Juncker è agli sgoccioli e quella che verrà sarà di segno diverso. Tra le indiscrezioni che circolano in questi primi giorni c'è anche quella che vuole Matteo Salvini e Luigi Di Maio intenzionati a rompere con l'Europa e disposti a giocare la carta euroscettica al voto di marzo per affrontare il dopo da una posizione di forza. Facile che non vada così. Già ora è possibile farsi un'idea di come sarà il prossimo Parlamento europeo. Gli euroscettici aumenteranno la loro presenza. Ma i pro euro, cioè il Partito popolare europeo, i socialisti e i liberali dovrebbero ottenere insieme circa 400 seggi sui 705 totali. Poi ci sarà la pattuglia del presidente francese Emanuel Macron, che non ha una collocazione ma sarà sicuramente pro Europa. Nessuno a Bruxelles e a Strasburgo crede al «sorpasso». Non in questa legislatura, non per i prossimi quattro anni.
Pochi cambiamenti in vista anche alla Commissione europea. Il presidente, che è il capo del «governo» Ue, viene votato dal Parlamento, ma è di fatto scelto dai governi rappresentati nel Consiglio Europeo. Tra i governi dei 28 paesi dell'Unione - quelli che decideranno - il Ppe è in testa, seguono gli esecutivi guidati da Socialisti o dalla sinistra in generale (la stessa Francia o la Grecia di Alexs Tsipras), poi i liberali. Di governi populisti c'è solo quello della Polonia, dell'Italia e dell'Ungheria di Viktor Orbán anche se quest'ultimo è un esponente a tutti gli effetti del Partito popolare. I singoli commissari saranno espressione delle famiglie politiche tradizionali, con degli innesti di questi tre paesi. Niente che possa fare pensare a cambiamenti radicali. Anche la lista dei papabili per la presidenza non fa pensare a una rivoluzione imminente. L'ultimo arrivato è Alexander Stubb, ex premier della Finlandia, outsider del Ppe con una vocazione molto europeista.
Resta in pole position un altro popolare, l'attuale capogruppo all'Europarlamento Manfred Weber. Bavarese della Csu. In sintonia con il centrodestra italiano e anche con la Lega, ma non populista. Questo, al momento, è il massimo che il governo italiano si possa aspettare.
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