Politica

La posta in palio segreta sul Quirinale

È arrivato il grande giorno della kermesse politica più spettacolare, un conclave laico con rituali nascosti come se si dovesse eleggere un Papa

La posta in palio segreta sul Quirinale

È arrivato il grande giorno della kermesse politica più spettacolare, un conclave laico con rituali nascosti come se si dovesse eleggere un Papa. Un alto-basso di alchimia di Palazzo e passione popolare che trasforma in severo quirinalista l'elettore medio che, ovviamente, ha già in tasca il nome del presidente perfetto.

Ci voleva poi il coinvolgimento di un super-italiano come Silvio Berlusconi per riaccendere passioni di parte e riportare al centro gli ingrigiti Nanni Moretti di turno e il circolo spocchioso dei Micromega che ha addirittura riproposto a cofanetto gli articoli storici dei grandi anti Cav defunti, quasi una seduta spiritica anti propiziatoria.

Però l'elezione del presidente della Repubblica, la quattordicesima dal 1946, non è il videogioco del momento per distrarre l'opinione pubblica. È una partita a scacchi nelle mani della politica, iniziata già all'indomani dell'ascesa di Mattarella nel 2015 e pronta ad essere vidimata dalle Camere riunite. I segretari di partito individuano i loro quirinabili con sette anni di anticipo, gli outsider che ci sperano iniziano a muoversi in ragione di quell'obiettivo. Aprire alla sinistra se sei destra, aprire alla destra se sei di sinistra, astenerti da battaglie politiche di parte, rintanarti in qualche presidenza di commissione o alla Corte costituzionale, rifiutare interviste politiche, parlare solo di Paese o territorio. Una precondizione necessaria che funzionerà soltanto all'ora X per il prescelto.

Al di là delle ambizioni dei singoli politici, la scelta del capo dello Stato è diventato nella seconda Repubblica il vero risiko di potere. La storia insegna, ai danni del centrodestra, che non è possibile gestire senza intoppi il consenso elettorale se il Colle si mette di traverso o persegue disegni antitetici. Sono undici anni, dall'uscita di Berlusconi, che tutti i governi avvicendatisi sono stati manlevati dal capo dello Stato del momento. Un premier ombra che ha varato formule extra elettorali, dettate da emergenze politiche o sanitarie, ma estranee alle indicazioni delle urne. Per fare esempi recenti, nel settennato appena trascorso Mattarella, nel rigoroso rispetto della Costituzione, ha attuato scelte da super presidente che suppliva alla debolezza della politica. Ricade in questo perimetro la decisione nel 2018 di imporre un passo indietro a Salvini e Di Maio per dare l'incarico a Conte, allora un avvocato d'affari sconosciuto al pubblico. Allo stesso modo è stata una prerogativa presidenziale non sciogliere il Consiglio superiore della magistratura delegittimato dallo scandalo Palamara. E, a ritroso, c'era qualcosa di astutamente diabolico nella mossa del presidente Napolitano di nominare Monti senatore a vita per apparecchiargli il tavolo di Palazzo Chigi ai danni del centrodestra nell'ultimo governo avallato dagli elettori.

Questo lo sanno bene i leader partitici sta stanno giocando la grande sfida. Tra un anno, salvo sorprese, si voterà a fine legislatura. E appare concreta la possibilità che la frammentazione dei consenti porti a fragili affermazioni elettorali. In quel caso tornerà in gioco il presidente della Repubblica, non da oggettivo notaio ma come dominus di formule di necessità o di nuove stagioni politiche.

Chi vorrà guidare il Paese senza una vittoria netta alle urne dovrà chiedere permesso a lei o a lui.

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