«Voglio una donnaaaaaa!». L'immortale grido felliniano dello zio matto di Amarcord risuona nel Pd, e manda in grande agitazione parlamentari, stati maggiori e correnti, creando le prime lacerazioni interne dopo il cambio unanime di segreteria. E proprio nel giorno in cui il neo segretario dem incontra per la prima volta ufficialmente il premier Mario Draghi, un incontro di prammatica ma anche l'occasione per un primo scambio di idee con un nuovo leader della sua maggioranza. E secondo fonti di governo, Draghi non apprezzerebbe molto il continuo battibecco polemico tra capi-partito - Pd e Lega in primis - dopo ogni decisione presa dall'esecutivo. Capisce ovviamente le necessità identitarie e comunicative dei partiti, ma preferirebbe non fossero perseguite a scapito del governo.
Vuole una donna, Enrico Letta, anzi ne vuole due, e le vuole ai vertici dei gruppi della Camera e del Senato. Sarà il primo punto all'ordine del giorno degli incontri di oggi tra i parlamentari dem e il nuovo leader. Tutti ovviamente sanno che la questione «donne» è solo un modo molto politically correct per regolare conti tutti politici e rompere un assetto che risale al 2018 e all'era renziana del Pd, e renzianissimi erano sia Andrea Marcucci che Graziano Delrio. Un assetto che anche Zingaretti aveva tentato di cambiare, senza riuscirci. Letta però ha usato abilmente l'arma della parità di genere: «In Europa è la precondizione», sottolinea, «La squadra del Pd è una squadra di soli maschi e gli incarichi monocratici sono tutti maschili».
Insomma, a dirgli brutalmente di no (come vorrebbe la maggioranza dei gruppi) si fa brutta figura. Senza contare che per le dirigenti donne date in pole position la tentazione è ovviamente forte. Ma la resistenza ai desiderata del Nazareno resta alta, soprattutto a Palazzo Madama dove ieri mattina una riunione carbonara dei senatori fedeli a Andrea Marcucci ha confermato di volerne blindare il nome, avendo i numeri per farlo (23 su 36). E siccome i presidenti di gruppo vengono eletti a scrutinio segreto dai membri del gruppo medesimo, il rischio di una sconfitta del segretario, con riconferma dell'assetto attuale e tanti saluti alla questione di genere era assai alto. Ragion per cui si è deciso di soprassedere, e rinviare il voto a quando si troverà un'intesa. Si dice che l'obiettivo di Letta sia di arrivare alla Camera ad una capogruppo a lui vicina come Marianna Madia, visto che le altre candidate in pole position, da Debora Serracchiani a Alessia Rotta, hanno già importanti incarichi come presidenti di commissione, e se si dimettessero altri partiti di maggioranza potrebbero rivendicare quelle poltrone. Mentre al Senato la partita è assai più intricata. «È davvero insolito che un segretario entri così nell'autonomia dei gruppi imponendo un cambio della guardia. Persino Matteo Renzi si tenne due capigruppo eletti in era Bersani come Speranza e Zanda», protesta un esponente del gruppo. Si attende il ritorno da una missione estera del ministro Lorenzo Guerini, capofila dell'area di Base riformista cui appartiene Marcucci e la maggioranza dei senatori, per capire come orientarsi, anche per non correre il rischio che, non proponendo una candidata di Br (Valeria Fedeli, Simona Malpezzi, Caterina Bini) la guida del gruppo alla fine se la prendano i franceschiniani con Roberta Pinotti.
Dal Nazareno non demordono: quella sulle donne capogruppo «è una indicazione politica e identitaria precisa», non si può non rispettarla. Anche perchè sarà il segretario, alle prossime elezioni, a decidere le liste dei candidati.
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