Il premier scappa negli Usa per lanciare altri slogan contro il fronte no-trivelle

Renzi in Nevada fa campagna anti referendum. Minoranza Pd nel caos

Il premier scappa negli Usa per lanciare altri slogan contro il fronte no-trivelle

Roma - Dal far west del Nevada, dove è atterrato ieri per una visita di quattro giorni in Usa, Matteo Renzi non resiste alla tentazione di fare un marameo ai no-triv che in patria si agitano per il referendum del 17 aprile. Certo, bisogna investire in ricerca e nuove tecnologie sulle energie rinnovabili, dice il premier, ma il fronte ecologista farebbe bene a non vendere fumo: «Un mondo che va avanti solo a rinnovabili per il momento è solo un sogno. Petrolio e gas naturale serviranno ancora a lungo: non sprecare ciò che abbiamo è il primo comandamento per tutti noi».Nessun riferimento diretto al quesito referendario, ma il messaggio è chiaro: la propaganda del fronte del sì è una bufala, e Pd e governo si schiereranno contro. Renzi parla da Stillwater, dove Enel gestisce «la centrale di energie rinnovabili più innovativa del mondo. Che è italiana, anche se spesso il nostro Paese sembra fare tutto per nascondere le proprie eccellenze». A Roma intanto il Pd si azzuffa sul tema, in vista della direzione di lunedì prossimo, dove verrà stabilita la linea ufficiale. Ma in questo frangente è la minoranza anti-renziana ad essere più lacerata, mentre l'ala filo-premier è compattamente schierata contro il referendum, puntando sull'astensione per affossarlo. Persino tra i promotori del quesito, ossia i presidenti di alcune Regioni, è scoppiata la rissa: da un lato il chiassoso Michele Emiliano, il governatore di Puglia che del referendum vorrebbe fare un plebiscito anti-premier; dall'altro il presidente della Basilicata Marcello Pittella che - pur avendo sottoscritto il quesito - accusa Emiliano di «strumentalizzarlo a fini politici, o ancora peggio per ritorsioni di carattere personale» contro il premier, attraverso «intemerate populiste» e con «toni da Masaniello» e dicendo, in sintesi, «cazzate» per auto promuoversi. Intanto si apre una frattura tra Roberto Speranza, l'ex capogruppo e aspirante leader della minoranza bersaniana e lo stesso Pier Luigi Bersani. Speranza, schierato per il sì, lancia appelli accorati affinché il Pd «cambi rotta»: «Siamo ancora in tempo per farlo, valorizzando la sensibilità di tanti cittadini che vivono questo referendum come la possibilità di affermare un nuovo modello di sviluppo sostenibile». Speranza si indigna per la linea astensionista avallata dal segretario: «È la negazione del principio di partecipazione democratica di cui il partito è simbolo», si duole. Il renziano Ernesto Carbone lo sbeffeggia, ricordandogli (con tanto di manifesto dell'epoca) di quando i Ds si schierarono entusiasticamente pro-astensione contro il referendum bertinottiano che voleva estendere alle piccole aziende l'articolo 18. L'ex segretario Bersani, invece, fa trapelare che lui andrà sì a votare, ma per il no.

Anche perché la base Pd dell'Emilia-Romagna, dove le estrazioni marittime danno lavoro a migliaia di persone, difficilmente gli perdonerebbe una conversione no-triv. «Se Bersani votasse sì, la prossima volta dovrebbe candidarsi in Val d'Aosta», ironizzano i renziani. E del resto anche l'emiliano Romano Prodi ha liquidato senza remore il referendum: «Sarebbe un suicidio collettivo».

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