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Ma presto anche Renzi dovrà fare rapporto

Il leader di Iv sarà chiamato a chiarire i contatti con gli Usa nell'affaire Russiagate

Ma presto anche Renzi dovrà fare rapporto

«Senatore Renzi, stia sereno. Presidente Conte, stia sereno anche lei». Quando martedì Adolfo Urso, senatore di Fratelli d'Italia, ha chiuso così il suo intervento sulla fiducia nell'aula di Palazzo Madama, ha mandato un avviso esplicito, e che non è passato inosservato ai piani alti dei nostri servizi segreti. Perché Urso è il vicepresidente del Copasir, il comitato di vigilanza sulle agenzie di intelligence, e con quell'annuncio (tutt'altro che rassicurante, nell'accezione renziana dello «stai sereno») ha fatto sapere che l'arena del Copasir è pronta per divenire il teatro del nuovo scontro frontale tra il presidente del Consiglio e il leader di Italia Viva. Nell'interminabile braccio di ferro tra Renzi e Conte sul tema dei servizi segreti, il Copasir si era preso qualche giorno di pausa, per non interferire col dibattito sulla crisi. Ma ieri riparte in quarta: e annuncia la convocazione di Renzi. E sarà una audizione da cui la reputazione di almeno uno dei contendenti (o magari di entrambi) rischia di uscire malconcia. Perché delle due l'una: o Renzi renderà esplicite le malefatte compiute dal premier nella gestione del comparto più delicato della sicurezza nazionale. O sarà lui a fare la figura di quello che ha parlato a vanvera, nelle innumerevoli occasioni in cui ha accusato Conte di essersi tenuto la delega ai «servizi» per farsi gli affari propri e di averla utilizzata fuori da qualunque regola istituzionale.

Il Copasir non ha fissato la data per l'audizione di Renzi, limitandosi a invitarlo a rendersi disponibile al più presto. Ma il garbo formale non deve creare illusioni sul trattamento che attende il senatore fiorentino una volta che si troverà nell'aula blindata e segretata del comitato presieduto dal leghista Raffaele Volpi. Perché il tema dell'incontro sarà la spy story di cui Volpi e i suoi colleghi si occupano ormai da un tempo infinito, e di cui vogliono a questo punto venire a capo in un modo o nell'altro: il lato italiano del Russiagate, ovvero l'appoggio che governo e servizi avrebbero fornito nel 2016 alla Cia di Obama e nel 2019 alla Cia di Trump nelle loro rispettive trame verso gli avversari.

Davanti al Copasir, Renzi dovrà dire la verità come se fosse in un'aula di tribunale. Cioè dovrà spiegare esattamente cosa gli risulta sui favori che Conte avrebbe riservato agli americani nell'estate del 2019, quando l'attorney general William Barr venne due volte a Roma. Al Copasir la loro idea, per ora, se la sono fatta: Conte avrebbe toppato due volte, quando ha consentito che Barr incontrasse il capo del Dis (il coordinamento dei «servizi») Gennaro Vecchione, e quando dopo la sua audizione in Copasir, con gesto assolutamente irrituale, ha raccontato ai giornalisti il contenuto della seduta segreta. Ma sono entrambi svarioni che riguardano il metodo, dettati il primo da sudditanza e il secondo da debolezza. Nella sostanza, invece, in Copasir non vedono tracce evidenti di malefatte di Conte. Quando il 29 settembre Barr tornò a Roma, insomma, non avrebbe ottenuto l'aiuto che cercava, ovvero le prove delle trame del 2016 contro Trump. A convincere il Copasir che l'attorney general tornò a Washington a mani vuote non è stato tanto Conte, ma le deposizioni, apparse credibili, dei capi di Dis, Aisi e Aise, compatti nell'escludere di avere fornito notizie sensibili all'inviato di Donald Trump.

Certo, negli ambienti del Copasir ieri si fa presente che questa è la verità ricostruita finora, e che il comitato è pronto a cambiare idea se dovessero arrivare notizie diverse. Proprio questo è il senso della audizione di Renzi: dare la possibilità all'ex premier di tirare fuori finalmente le carte che dice di avere in mano. Ma anche costringerlo a farlo, se dovesse cercare di tirarsi indietro.

A guardare con attenzione all'andamento dell'interrogatorio di Renzi non è solo l'entourage di Conte. Anche i vertici dei servizi segreti guardano con interesse all'evoluzione del caso Russiagate, perché se la vicenda dovesse esplodere investirebbe i delicati equilibri interni alle agenzie. Dei tre direttori incontrati da Barr, uno - il generale Luciano Carta, all'epoca a capo dell'Aise - intanto ha cambiato mestiere; ma gli altri due, Mario Parente all'Aisi e Gennaro Vecchione al Dis, sono ancora lì.

E difficilmente accetterebbero di restare con il cerino in mano, se Renzi riuscisse a dimostrare che proprio del tutto vuota la borsa di Barr, quando lasciò Roma, non era.

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