A piazza Tharir lo conoscevano tutti. Ahmed Al Darawi era il «dimostrante poliziotto». O meglio lo «sbirro» che aveva rinunciato alla divisa per abbracciare la rivoluzione. E non quella dei Fratelli Musulmani, ma quella tanto osannata in Occidente delle primavere Arabe. La rivoluzione simbolo - per la mal informata opinione pubblica occidentale - di un Egitto deciso a rimuovere Hosni Mubarak per far posto a democrazia, libertà e diritti civili.
Per capire com'è finita basta guardare le ultime immagini di Darawi. Quelle in tunica nera, capello afghano, barba lunga fino al petto, kalashnikov sulla spalla destra e mitraglietta Uzi in pugno. Sono le immagini della metamorfosi finale. Quella che lo porta a trasformarsi da candidato al Parlamento egiziano in comandante dell'Isis nelle provincie occidentali della Siria. Una metamorfosi conclusa dalla morte nel corso di un attacco suicida. Ma la parabola di Ahmed Al Darawi, divenuta di pubblico dominio dopo l'annuncio - settimane fa - della sua scomparsa, è anche il simbolo della spada di Damocle sospesa su un Egitto dove la minaccia terroristica si fa sempre più pressante. E dove migliaia di figli della Primavera Araba subiscono l'attrazione fatale dello Stato Islamico.
Per capirlo basta leggere le cronache. Il duplice attentato costato la vita, ieri, a due poliziotti e tre soldati nella penisola del Sinai, la bomba esplosa poco dopo - fortunatamente senza far vittime, ma si registrano ben 21 feriti - nella metrò del Cairo, segnalano una spirale senza precedenti. Anche perché mercoledì una motovedetta della marina militare egiziana è stata attaccata in alto mare da un gruppo di militanti jihadisti nascosti a bordo di tre pescherecci. Un attacco conclusosi, secondo fonti dell'imbarazzata Marina, con la morte certa di cinque marinai e quella presunta di altri otto dispersi in mare. L'ecatombe fa seguito al massacro di 31 soldati uccisi un mese fa nel Sinai da Ansar Beit al-Maqdis (Partigiani di Gerusalemme), la formazione jihadista allineata ufficialmente con lo Stato Islamico.
La storia di Ahmed Al Darawi insegna che il passaggio dalla rivolta di piazza alle fila dello Stato Islamico non è soltanto la conseguenza della repressione ordinata dal generale Abdul Fattah al Sisi dopo il colpo di Stato dell'estate 2013 contro i Fratelli Musulmani del presidente Mahmoud Morsi. Al Darawi inizialmente non sembrava un fanatico. Prima di guidare i manifestanti di Piazza Tahrir, aveva messo al mondo due figli e campava vendendo pubblicità per un'emittente sportiva. A Piazza Tahrir era conosciuto come un moderato sempre pronto placare gli animi e ad usare la sua esperienza per mediare con gli ex colleghi poliziotti. «Ricordate che siete anche voi figli del popolo, non siate nemici della rivoluzione» lo si vede ripetere nei servizi televisivi realizzati a piazza Tahrir e rimessi in onda dopo la sua morte.
A trasformarlo da candidato al Parlamento in combattente dello Stato Islamico sono prima la frustrazione per la mancata elezione al Parlamento e poi la consapevolezza che la popolazione egiziana rifiuta la trasformazione della rivolta di Piazza Tahrir in una lotta per l'affermazione della legge islamica. Ma dietro la scelta del terrorismo c'è anche la fragilità della sua asserita fede democratica. Una fede predicata a parole, ma subito rinnegata quando la vittoria del diretto concorrente, tacciato di essere un fedelissimo del vecchio regime, gli sbarra la strada verso il Parlamento e l'affermazione politica e sociale.
Dopo quell'amara sconfitta parte per la Turchia attraversa il confine siriano, decide - come spiega agli amici - di dimenticare l'Egitto e
battersi solo per lo Stato Islamico. Un sentimento condiviso da tanti dei giovani egiziani che a piazza Tharir ripetevano di lottare per la democrazia e oggi, neanche quattro anni dopo, sognano invece di morire per il Califfato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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