Quel "privilegio" che scuote l'opinione pubblica più delle tangenti

Il fenomeno clientelare risulta più odioso quando fa pesare la distanza tra i fortunati della Casta e chi un tetto sulla testa lo paga a carissimo prezzo

Quel "privilegio" che scuote l'opinione pubblica più delle tangenti
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A Frà, che tte serve?. Tutto ebbe inizio con questa frase che riassume usi e costumi nostrani. La narrazione riferisce che la domanda fu rivolta da Gaetano Caltagirone a Franco Evangelisti. Coriandoli di un tempo non ancora da tribunali e arresti ma segnale di un modo di vivere e di intendersi tipico di un Paese e di una mentalità tendenti alla raccomandazione, al favore, all'appoggio. Quando si scoprì che il Comune, il Policlinico e il Pio Albergo Trivulzio non assistevano soltanto cittadini bisognosi, infermi e anime povere e sofferenti ma avevano in proprietà 3700 appartamenti e negozi nelle zone cosiddette vip, zona centro di Milano, si comprese come sotto ci fossero il pacco dono per pochi e la fregatura per molti. Non certamente per gli inquilini attratti dalla possibilità di abitare in dimore privilegiate e con un canone mensile da ostello della gioventù. Fu così che Vittorio Feltri, eccitato da tanta grazia venuta fuori non dalle intercettazioni ma dalla pubblicazione dell'elenco degli affittuari, incaricò la redazione di leggere con attenzione tutti i particolari di cronaca lungo la lista dei locatari, gente famosa, dal lussuoso sette e quaranta però omaggiata da clamorosi contratti immobiliari. Assegnatami, tra gli altri, la consultazione della Trivulzio's List, trovai in elenco, con imbarazzo fantozziano, anche un paio di colleghi di redazione, il titolare di un ristorante punto di appoggio dello stesso giornale e un corteo di "gggente" illustre, di spettacolo, di cultura, di sport, di politica, insomma la Grande Affittanza, di Milano e poi di Roma, del bel paese e dintorni, un mondo che se la spassava pagando due lire per un bilocale in via della Spiga, una mansarda con affaccio su piazza Duomo, altre cose e case belle davvero, mentre il resto della popolazione attendeva il turno di chiamata per un alloggio a canone poco equo. Il clientelismo assumeva dunque un nuovo sistema di favori, in cambio di che cosa effettivamente non si riusciva a comprendere perché un ristorante che versava 1000 lire al mese di affitto come poteva contraccambiare se non con una cotoletta in più, senza fattura al seguito e con la riverenza al cliente famoso? E lo stesso interrogativo riguardava la ballerina elegante o il diggì di football o l'assessore e il congiunto di un presidente apicale. Ma facevano tutti parte del circolo clandestino, la Bilderberg della pigione, i marchesi del Grillo del canone perché loro erano loro, noi cioè gli altri, eravamo un cxxxo. Qualcuno scrisse che i politici così non si vendevano ma si affittavano, sta di fatto che il caso provocò schiumate di rabbia tra gli inquilini mai morosi e soprattutto aggiunse bile dopo la vicenda di tangentopoli che aveva scosso il sonno e il sogno dei cittadini e travolto la dolce vita dei partiti. Perché se quello della corruzione della politica e dei suoi rappresentanti riguardava un mondo e un monte di denari lontanissimi dalla realtà quotidiana vissuta, quello dei nuovi garibaldini locatari, i 1064, questo il numero esatto, fu una immagine miserabile e sconcia di come e di chi potesse pensare di farla franca e di essere più furbo pagando l'iniquo canone. Pentiti pochi, alibi molti, giustificazioni infantili, un "non lo sapevo" era buono per qualsiasi istanza, però fu l'epilogo di un malcostume etico e comportamentale.

Eravamo nel 1995 e avvennero due fatti in contemporanea legati alla vicenda: il Giornale aumentò vertiginosamente le copie di vendita e, contemporaneamente, crebbero i canoni di affitto delle illustri dimore. AAA...(h)!

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