Un processo che la Procura di Milano non può perdere: perché se anche il caso Ruby andasse male, se andasse ad aggiungersi alla sorte infausta toccata ad altri processi-icona della giustizia ambrosiana come quelli per corruzione contro l'Eni, a quel punto sarebbe una intera stagione di inchieste a dover venire riletta. Anche perché sulla ripresa autunnale incombe il processo d'appello per il crac del Monte dei Paschi di Siena, e anche lì la Procura è in allarme rosso: non tanto per la posizione degli ex vertici italiani quanto per le grandi banche estere condannate in primo grado, e ben decise a strappare l'assoluzione in appello.
Così è inevitabile che intorno al processo a Berlusconi si respiri un clima un po' da ultima spiaggia, e anche il brusco peggioramento del clima che si respira in aula è figlio di questa escalation. Perché in una Procura divisa, e da ultimo lacerata, come quella milanese, l'unico collante che ha funzionato in questi anni è stato il braccio di ferro giudiziario con il Cavaliere, in corso da un quarto di secolo e culminato finora in una sola condanna, quella per i diritti tv, ormai scontata e addirittura cancellata dalla riabilitazione.
L'offensiva scatenata da Ilda Boccassini nel 2011 contro l'allora capo del governo con l'indagine sulle allegre serate di Arcore doveva essere l'affondo finale, quello che riscattava anni e anni di assedio infruttuoso, marchiando il leader azzurro come uno spensierato fruitore di piaceri a pagamento, minorenni comprese. È finita come si sa, con l'assoluzione con formula piena in appello e in Cassazione. Ultima chance prima della resa definitiva, l'incriminazione in blocco di tutti i testimoni passati in aula a difendere il Cavaliere, le Olgettine, i baristi, i pianisti, gli ospiti illustri o sconosciuti che avevano giurato di non avere assistito a nulla di immorale né tantomeno di illecito. E in cima all'elenco degli imputati lui, Berlusconi, accusato di avere comprato con decine e centinaia di migliaia di euro i silenzi e le bugie dei testimoni.
È questa l'accusa che ieri Federico Cecconi, avvocato dell'ex premier, definisce «grottesca»: tornando a ricondurre alla «generosità» del suo assistito i versamenti (accertati, e avvenuti peraltro alla luce del sole e spesso con bonifico bancario) effettuati a favore di testimoni che hanno avuto la vita guastata dal processo: generosità «del tutto svincolata da quella che sono in realtà le ragioni ipotizzate», ovvero dal contenuto delle testimonianze. Il corollario è, per la difesa, che non vi era nulla su cui mentire, visto che - come assodato dalle sentenze - nelle feste a Villa San Martino non accadeva nulla di illecito.
Ma ormai il cosiddetto processo «Ruby ter» vive di vita propria, e poco conta che ad Arcore andassero in scena reati o «cene eleganti»: adesso nel mirino della Procura c'è il groviglio di rapporti che prima e soprattutto dopo ha legato Berlusconi con le giovani donne delle feste, con le loro pretese sempre più assillanti di soldi, dove alla fine era difficile distinguere l'accordo sottobanco, le richieste di aiuto, i ricatti.
Ieri, se l'udienza si
fosse tenuta, sarebbe stato interrogato un personaggio-chiave: Giuseppe Spinelli, il ragioniere di fiducia del Cav, che in molti casi fu l'ufficiale pagatore. Ma per sentire la sua versione si dovrà aspettare ancora a lungo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.