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La Procura chiese l'arresto per una presunta mazzetta ma l'Appello lo assolve in pieno: «Il fatto non sussiste»

Bari Nel 2006 la Procura chiese il suo arresto, ieri invece la Corte d'Appello di Bari lo ha assolto «perché il fatto non sussiste». Raffaele Fitto non è mai andato ai domiciliari grazie all'opposizione della Camera, ma per l'ex presidente della Regione Puglia ed ex ministro agli Affari regionali, nonché attuale europarlamentare e leader di Conservatori e riformisti dopo la fuoriuscita da Forza Italia, l'incubo è finito soltanto dopo quasi dieci anni, quando i giudici lo hanno del tutto scagionato dall'accusa di corruzione e abuso di ufficio cancellando definitivamente l'ombra di una presunta tangente. La Corte ha assolto anche l'imprenditore Giampaolo Angelucci, il re delle cliniche private, pure lui accusato di corruzione per aver versato 500mila euro nelle casse del movimento politico guidato all'epoca da Fitto, «La Puglia prima di tutto».

Nel febbraio del 2013, l'ex ministro era stato condannato in primo grado a quattro anni di reclusione mentre ad Angelucci erano stati inflitti tre anni e sei mesi. Ma in appello la decisione è stata ribaltata con l'assoluzione nel merito, anche se i reati di corruzione e di abuso di ufficio in realtà erano già prescritti. «Era il 20 giugno del 2006 – ricorda Fitto – quando mi fu notificata un'ordinanza di custodia cautelare con il sequestro dei miei beni. La Camera dei deputati nonostante la mia richiesta di autorizzare l'arresto, la respinse all'unanimità. Sono molto soddisfatto per la sentenza di assoluzione, ma al tempo stesso molto amareggiato, in pochi minuti mi sono passati nella mente quasi dieci anni della mia vita. Il mio pensiero va soprattutto a mia moglie, ai miei figli, a tutta la mia famiglia che nei momenti più difficili sono sempre stati al mio fianco con discrezione e affetto insieme a tanti amici che non hanno mai dubitato della mia onestà».

All'epoca dei fatti contestati, Fitto era presidente della Regione. Al centro dell'inchiesta c'è un appalto da 198 milioni di euro per la gestione di undici Residenze sanitarie assistite vinto dal gruppo di Angelucci: secondo gli inquirenti dietro il successo dell'imprenditore si celava una tangente di 500mila euro. Il denaro fu sequestrato dopo la condanna in primo grado e adesso dovrà essere restituito al movimento politico, così come sono state revocate le confische per sei milioni nei confronti delle società del re delle cliniche. Al termine della sentenza, giunta in tarda mattinata in un'aula stracolma, gli avvocati di Fitto non nascondono la soddisfazione. «Tutte le illazioni, tutti i sospetti, tutte le mezze parole su Raffaele Fitto – dichiarano i legali Francesco Paolo Sisto e Luciano Ancora - devono lasciare spazio a questa sentenza che ha avuto il coraggio, nonostante il reato fosse prescritto, di dichiararne la insussistenza». Non mancano reazioni politiche ed espressioni di solidarietà per l'eurodeputato di Maglie. «Questa sentenza – dice il presidente dei deputati di Area popolare, Maurizio Lupi – lo ripaga delle ingiuste accuse sopportate e quindi immagino il suo sollievo, ma penso anche all'amarezza per la gogna mediatica a cui è stato sottoposto e di cui nessuno lo ripagherà». Un concetto ribadito dal coordinatore nazionale di Ncd, Gaetano Quagliariello, che parla di «lungo e doloroso calvario».

L'anno in cui la procura di Bari chiese l'arresto di Raffaele Fitto: ieri, dopo 9 anni, l'assoluzione

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