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La promessa di Joe è di unire il Paese. La svolta a sinistra lo dividerà di più

Il ripetuto richiamo al rispetto reciproco per riconciliare le due anime degli Usa. Ma dall'immigrazione all'economia, il suo programma può spaccare l'America

La promessa di Joe è di unire il Paese. La svolta a sinistra lo dividerà di più

Richiami all'unità, al rispetto reciproco e alla necessità di combattere assieme, nel nome di una sola nazione, i comuni nemici. Parole suadenti, a tratti struggenti, con cui Joe Biden promette nel suo primo discorso da Presidente di difendere la democrazia e di ricostruire la classe media. Ma più delle parole contano i fatti. E i fatti - concretizzatisi con la raffica di 17 atti esecutivi firmati già ieri pomeriggio - sono ben diversi dalle promesse scandite a Capitol Hill. In poche ore quegli atti esecutivi hanno spazzato via alcune pietre miliari del quadriennio trumpiano. E rischiano, contrariamente a quanto promesso, di scavare un fossato ancora più profondo tra la Washington di Joe Biden e l' America abituata a vivere lontano dalle grandi metropoli e dalle loro «elite» progressiste.

Il primo sgarbo a quell'America è il tratto di penna con cui il nuovo Presidente antepone agli americani dimenticati, impoveriti ed emarginati gli 11 milioni di migranti nascosti tra le pieghe del Paese. Li chiamano «dreamer» e sognano la cittadinanza americana. Biden è pronto non solo a concedergliela, ma a dimostrare nei loro confronti lo stesso zelo progressista esibito dal governo giallo-rosso di «Giuseppi» quando si è trattato di cancellare i decreti dell'era Salvini e facilitare lo sbarco di nuovi clandestini. Così oggi Biden è pronto non solo a cancellare le restrizioni anti-migranti introdotte da Donald Trump, ma persino a tagliare i tempi dell'accordo bipartisan che nel 2013 in piena era Obama fissò in 13 anni i tempi per garantire la cittadinanza a milioni di «dreamers». Tempi che ora, grazie al decreto firmato ieri da Biden, si riducono a soli 8 anni. Ma la mano tesa a migranti e stranieri va ben più in la. Con lo stesso tratto di penna Biden ha cancellato non solo il progetto trumpiano per la costruzione di un nuovo muro al confine con il Messico, ma anche il «Muslim Ban», le restrizioni antiterrorismo che introducevano controlli molto più severi per i visitatori in arrivo dai paesi musulmani a rischio. Ma gli schiaffi «esecutivi» sferrati da Biden non riguardano solo i 70 milioni di elettori trumpiani.

Da oggi anche la grande industria, spesso vicina ai democratici, avrà buoni motivi per pentirsi della fiducia accordata ad un Presidente pronto a garantire entro trenta giorni il ritorno ai vincoli «verdi» imposti da quegli accordi di Parigi cancellati dal suo predecessore. Il tutto sotto gli occhi compiaciuti di una Cina che, lasciatasi alle spalle il Covid, torna a standard produttivi garantiti dal mancato rispetto delle più elementari norme ambientali. E a scavare nuove divisioni, rilanciando miti e leggende complottiste, contribuirà anche l'immediata offensiva anti-pandemia approvata, sempre ieri pomeriggio. Uno dei motivi per cui Trump si è sempre rifiutato di avvallare chiusure e divieti troppo rigidi è l'allergia di larga parte dell'opinione pubblica americana alle limitazioni delle libertà personali imposte dal governo federale. Il finanziamento di 100 milioni di vaccinazioni nei primi cento giorni del mandato Biden e gli obblighi più stringenti sull'uso della mascherina contribuiranno sicuramente a bloccare una pandemia già costata 110mila vite in più delle 291mila perdute nella seconda guerra mondiale.

Ma favorirà anche le mosse dei movimenti estremisti pronti, come si è visto a Capitol Hill, a cavalcare la rabbia e lo smarrimento di un'«America profonda» che i decreti esecutivi di Joe Biden rischiano, nonostante le parole, di rendere ancor più estranea e più lontana.

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